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Definire il concetto di “cultura”

Anni addietro conoscevo una persona persuasa di essere di una certa cultura.

La persona in questione, incardinata in un noto ateneo romano non grazie al suo livello culturale, aveva ideato un gioco da perfidi aguzzini: il gioco dei libri e degli autori.
Il “gioco”, realizzato in combutta con il suo degno compagno di merende, consisteva nello sfidare un’altra coppia di cosiddetti “amici” nell’azzeccare alcuni appaiamenti libro + autore. “Chi ha scritto Guerra e pace?”, “un titolo famoso di Dostoevskji”: era questo il tenore dei quesiti, per capirsi.

Chissà perché spesso erano autori russi. Forse profumavano di cultura.
Il malvagio giochino era solitamente proposto a vittime individuate come “di cultura inferiore” e serviva, sostanzialmente, a screditare l’altro per ottenere un vantaggio narcisistico (ma quest’ultima conclusione l’ho raggiunta solo qualche tempo dopo).

foto di designerpoint

I cosiddetti amici, ignari, ingenuamente accettavano di prendere parte alla sfida, e dopo aver incassato una pessima figura, a fine set, venivano poi sbeffeggiati alle spalle, in compagnia di altri cosiddetti amici. Questo inorgoglirsi e autocelebrarsi, attraverso la svalutazione dell’altro, è qualcosa che ritengo intollerabile.
Ho sempre pensato che questa non fosse cultura. Ne sono ancora persuasa.

Senza dubbio, questa persona aveva importanti carenze nell’autostima delle quali purtroppo (per lei e per chi le stava accanto) non aveva alcuna consapevolezza: probabile che avesse bisogno di queste bieche manipolazioni per mettere a tacere il suo senso di inferiorità culturale.

Tra l’altro, nonostante la bravura nell’appaiamento autori/titoli, all’epoca non aveva letto nemmeno uno di questi romanzi.

Definire la cultura

Passeggiando, spesso mi sono chiesta come definire il concetto di cultura: così affascinante, denso, ricco, eppure impalpabile.
Ogni volta che mi sono cimentata nel tentativo di dargli dei confini, ecco che mi è regolarmente sfuggito dalle mani.

L’enciclopedia Treccani ci suggerisce che possiamo chiamare ‘cultura’ «L’insieme delle cognizioni intellettuali che, acquisite attraverso lo studio, la lettura, l’esperienza, l’influenza dell’ambiente e rielaborate in modo soggettivo e autonomo diventano elemento costitutivo della personalità, contribuendo ad arricchire lo spirito, a sviluppare o migliorare le facoltà individuali, specialmente la capacità di giudizio».
Interessante: ma ad un certo punto si ha la sensazione che l’iniziale progetto vada poi a perdersi per strada e la mente pare vagare altrove, senza una precisa meta.
Stiamo cercando di afferrare un’idea e già siamo confusi: brutta partenza.
Proviamo a non infiacchirci, procediamo con calma, sapendo, come Socrate, che non sapere è già un buon punto di inizio per la nostra ricerca.

Distinzioni che fanno la differenza

Dal momento che definire cosa sia la cultura mi sembra, per ora, un poco complicato, ho deciso di iniziare con una riflessione che prendesse come punto di partenza proprio l’esempio citato a inizio articolo.
Vorrei partire, cioè, da una distinzione, chiara e forte, che penso valga la pena praticare, tra autentico amore per la cultura e per il sapere e quella che definirei ostentazione, quella smania narcisistica insita in coloro i quali, come esplicitato poco sopra, sentono l’impellente bisogno di dimostrare agli altri – ma in primis a loro stessi – di saperne molto, anzi, più degli altri. E quindi di non essere dei beceri ignoranti che, in fondo, sanno di essere.

foto di Marisa_Sias

Se di una cosa sono certa, questa è che la cultura non è ostentazione. Stiamo in guardia dalle apparenze: chi millanta di avere un enorme bagaglio culturale, nasconde nei suoi inferi personali abissi di imbarazzante analfabetismo culturale che cerca di camuffare con l’esatto opposto. Quindi orecchie aperte e occhi attenti.
Chi si affanna per dimostrare qualcosa, come sempre, sta comunicando che quel qualcosa, di fatto, sente di non possederlo – ma lo vorrebbe tanto avere.

Ostentazioni

L’ostentazione di cultura, si può estrinsecare in numerosi modi.
Proverò a passare in rassegna un elenco, non esaustivo, di quegli elementi che NON fanno parte della grande famiglia che passa sotto il nome di ‘mondo del sapere, della conoscenza, della cultura’.

  • possedere tanti libri. È anche possibile che chi detiene numerosi volumi sia una persona di cultura e ne abbia letti molti, o forse tutti, ma non è sempre vero. Una volta affittai un locale con una enorme parete di libri: mi complimento con il proprietario, ma scopro che no, quelli erano libri che lui aveva comprato a caso alle bancarelle, mai letto uno, il fatto era che gli servivano per riempire quel pezzo di muro così grande che altrimenti sarebbe rimasto vuoto.

A volte, poi, comprare libri è una questione di consumismo: possiedo dunque sono, magari di quel libro ne ho già sette copie ma lo compro comunque, non si sa mai.
In altri casi, l’acquisto di un testo è puro piacere feticistico: c’è chi si sollazza in questo modo.
Lo stesso discorso vale per il possesso di cd, dvd, cd-rom, floppy disk e quant’altro: non basta il mero possesso ad attestare di essere un uomo, una donna, un asino di cultura.

  • saper collegare titoli di libri e autori. Il demenziale giochino citato sopra. Fa venire un immediato attacco di gastrite acuta.
    Questo atteggiamento lo possiamo definire autentico sfoggio di cultura, direi una forma di maltrattamento della cultura stessa, che diventa oggetto, strumento nelle mani di ignoranti patentati. Averli veramente letti, quei libri, averli inglobati in sé, saperli conservare vivi e attivi nella memoria e nel cuore, quella è davvero tutta un’altra storia.
    La conoscenza superficiale dei titoli e degli scrittori non è cultura: è vuoto siderale, truffa aggravata, clownerie, tristezza infinita. A volte sintomo di gravi disagi interiori. Anche di follia pura.
  • conoscere tutte le incisioni o le edizioni di opere liriche, concerti, registrazioni, esecuzioni etc del tal direttore musicale, di quello specifico compositore, pianista, violista, trombonista, sapere a memoria i titoli di tutti i film di quel celebre, cervellotico, angosciante regista. Idem come sopra: è una conoscenza che rischia di essere solo di superficie, che nulla ha a che fare con le emozioni, la fantasia, gli stimoli che il mondo della cultura sa dare.
  • dire di andare a vedere/sentire quello spettacolo, quel concerto, quella performance, quella mostra, quel museo, sbandierare ai quattro venti di essere abbonato al teatro dell’Opera, all’auditorium, al teatro tal de’ tali eccetera. Anche cantare in un coro, se fatto per dire “io canto in un coro”, per esibirsi e sentire i complimenti, a fronte di una totale mancanza di interesse per quel tipo di musica, non è cultura.
    Emerge una componente esibizionistico-voyeuristica di tale imbarazzante narcisismo che si scontra con la mia idea di essere colti.

Una riflessione

Ho idea che la cultura sia silenziosa, riservata, timida, anche impalpabile, se vogliamo, come la musica, la più ‘aerea’, inconsistente delle arti.
Poter usufruire del mondo delle lettere, delle arti e goderne per il semplice motivo che ci fa stare bene, mi sembra un criterio in linea con ciò che ritengo sia un atteggiamento di autentica curiosità per il mondo culturale.
La vera cultura è silenziosa, come l’autentica generosità, nella quale, come si dice, una mano non sa ciò che fa l’altra.
Tutti gli sbandieramenti, capaci di mettere a disagio l’altro, creare sfide infantili per prevalere e prevaricare l’interlocutore, tutte le bandierine apposte sulle cime, penso, sono tutta un’altra storia.

Articolo della dott.ssa Giorgia Aloisio, psicologa e psicoterapeuta (Roma).

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