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La famiglia del mulino bianco che non tramonta mai

Lo spunto

Una dozzina di anni fa iniziai la libera professione e il mio primo caso clinico mi fece tornare alla memoria il ricordo di un’antica pubblicità, quella del Mulino Bianco: sulle prime, la mia reazione fu il sorriso.
Avevo ancora in mente quello spot e riuscivo a cogliere l’atmosfera rarefatta alla quale il paziente davanti a me si riferiva; quel ricordo un po’ sbiadito, chiuso da anni in un cassetto, fece rapidamente ritorno nella mia mente come una fotografia logorata dal tempo e provai una certa tenerezza anche perché erano passati la bellezza di una trentina d’anni da quell’epoca.

immagine da web


Eppure, sia io che il paziente avevamo serbato questo antico ricordo, con tutti gli annessi e connessi delle nostre vite dell’epoca e le nostre memorie annebbiate dagli edulcoramenti.

Fu un momento di profonda condivisione interiore.

Pubblicità e immaginario collettivo

Sicuramente, molti di noi avranno in mente molte altre pubblicità televisive: per esempio l’indimenticabile spot del profumo Chanel Égoïste (le donne affacciate ai balconcini che aprivano e chiudevano gli scuri delle finestre al ritmo del balletto di Romeo e Giulietta di Prokof’ev), o quell’altro della Fiat Punto (con il condomino che, dopo una lite tra coniugi, si presentava alla porta della vicina di casa con il famoso ‘Buonaseraaaa’).

La “mitica” famiglia del Mulino Bianco mi fece sorridere e continuai il mio lavoro, illudendomi che quella sarebbe stata l’ultima, commuovente volta che avrei ripensato a quella famigliola apparentemente così pacifica: come si suol dire, ‘mi misi l’anima in pace’. Mal me ne incolse.

Confronti incalzanti

Nel corso degli anni, tra un paziente ed un altro, il confronto con la leggendaria famiglia del Mulino Bianco si fece sempre più incalzante, tornando alla ribalta in modo quasi serrato.
Con il passare degli anni mi sono dovuta rassegnare: il confronto con la “famiglia del Mulino Bianco” è più vivo che mai, come se fosse ancora in tv e la cosa mi continua a far riflettere.
L’immaginario collettivo ne è ormai irrimediabilmente invaso
Mi sono dovuta accorgere che non è solo l’immaginazione dei pazienti ad esserne stata invasa, ma anche quella di colleghi, conoscenti … persino degli amici.

Anche durante un convegno di psicologia l’ho sentita citata da un relatore.
Quando qualche tempo fa, per puro caso, conobbi la persona che ai tempi che furono aveva ideato questa trovata pubblicitaria per la Barilla e devo ammettere che, nonostante l’ammirazione di molti degli astanti, provai una certa irritazione.

Ancora con la “famiglia del Mulino Bianco”

Il pensiero di questo spot così invasivo nella mente umana ha iniziato a indispettirmi e alla tenerezza si è sostituita una livorosa avversione: come, ancora con questa famiglia, ancora con questo mulino? Quante altre famiglie sono state propinate dal mondo pubblicitario, nel corso degli anni …

foto di Silvia Alfonsi

Sono passati decenni e noi ancora qui a confrontarci con quella storiella della famiglia del Mulino Bianco…
Non è un caso, pensai, non può essere che la casetta di Chiusdino, tra le colline senesi, continui imperterrita e impunita ad insinuarsi nell’immaginario collettivo italiano, che venga ancora utilizzata come umiliante metro di paragone per parlare dei propri sistemi familiari: ci deve essere un motivo sensato che possa spiegare questa incursione subliminale che tuttora permane immodificata …
Quali sono le ragioni di questo ricordo così nitido, nella mente di molti, una traccia mestica che, come la risacca, ogni tanto riaffiora dall’abisso dell’oblio nazional popolare.
Proviamo a ricordare, con l’aiuto di internet, chi era questa indimenticata famiglia e cosa faceva, durante quella breve pausa pubblicitaria che non possiamo toglierci più dalla testa, nemmeno nelle sedute psicoterapeutiche.

La famiglia del Mulino Bianco

La benedetta famiglia del Mulino Bianco era composta da mamma, papà, un nonno (privi di nome, pare) e due figli che invece un nome ciascuno lo avevano: Linda e Andrea.

Questa fu tra le prime pubblicità ad essere ‘seriale’ cioè ad evolvere nel tempo: gli spot raccontavano pezzi di vita differenti di questa famiglia tutta rose e fiori.
Il papà a volte staccava la mattina presto dal lavoro e tornava di gran carriera a casa per abbracciare la sua amata famiglia e rinfrancarsi con una bella colazione a base di biscottini della Barilla.

foto da archivio privato

Altre volte il nucleo familiare al completo si preparava per uscire, i bimbi per la scuola, i genitori per il lavoro, e non c’era nulla da fare, questa colazione riusciva sempre perfetta e appetitosa, niente che andasse storto, era tutto un sorridersi reciproco, un annuire con la testa, un generale compiacersi, tutti avevano gli occhi grandi e felici.

Cosa accadeva nella società italiana, all’epoca?

Cosa hanno evocato questi istanti pubblicitari, nella mente degli italiani?
Piccolo excursus storico: erano gli anni ’90 e, secondo quanto afferma il sociologo Francesco Alberoni, la Barilla viveva un momento critico.
Questa complessa fase aveva portato l’azienda a cercare una ‘immagine forte’ che potesse davvero piacere e coinvolgere il pubblico (consiglio un articolo del sociologo e giornalista Francesco Alberoni, che potete leggere qui).
Erano inoltre anni in cui iniziava ad ‘incubare’ il movimento ecologista: le città si erano già rivelate luoghi invivibili, soffocati dallo smog e dallo stress generale e l’idea di tornare a vivere in campagna, nella semplicità e a contatto con le nostre origini, immergersi in una vagheggiata innocenza primigenia aveva già fatto la propria comparsa nelle fantasie di molte persone.

foto da archivio privato


La famigliola sembrava realizzare proprio questo sogno: abbandonava l’impossibile vita cittadina per lasciarsi andare nell’abbraccio di mamma Natura (qualche anno dopo, la Barilla, creò un nuovo spot con lo slogan ‘Mangia sano – torna alla natura’, sempre per restare in tema).

Una natura buona, madre, non certo matrigna, un luogo nel quale ci si ritrova, ci si ama, si fanno avanti gli antichi e genuini sentimenti di un tempo, dove vive e scorrazza senza freni il mito del ‘buon selvaggio’ e dell’origine benigna dell’umanità intera. Un autentico tributo al pensiero di Jean Jacques Rousseau e ai numerosi pensatori che hanno creduto a questo ideale.

Uno spot firmato Tornatore

Una natura, quella dello spot del mulino, descritta dall’occhio attento del regista siciliano Giuseppe Tornatore che, proprio nel 1990, si era aggiudicato il Premio Oscar per la pellicola Nuovo Cinema Paradiso.
Le vicende della famiglia del Mulino Bianco erano inoltre accompagnate dalla musica del compositore Ennio Morricone (autore, peraltro, della colonna sonora del film sopraccitato): un colpo da maestri, insomma, che non poteva fallire.
Tra musiche cariche di speranza e serenità, cibi più o meno succulenti e una natura incontaminata, il pubblico non aveva scampo: l’imperativo era desiderare di essere lì, di essere quella famiglia.

foto di manseok_Kim


Gli spettatori hanno iniziato a covare il sogno di trasformare la propria famiglia in quella dello spot; anche solo un pezzetto di vita della famiglia del Mulino Bianco sembrava desiderabile, tant’è che all’epoca numerosi fan dello spot iniziarono ad effettuare dei veri e propri pellegrinaggi sul luogo del ‘Mulino Bianco’ quasi fosse un luogo santo, alla ricerca di un qualche genius loci, di un sogno in qualche forma materializzato, fatto realtà.
Visitare il mulino della pubblicità equivaleva ad affermare che quel tipo di famiglia, quel mondo ideale, non era solo frutto del bieco marketing ma esistevano davvero, erano concretamente realizzabili.
Chi non si imbarcava nel tentativo trasformativo, invece, guardava con gli occhi dell’invidia quella placida, perfetta serenità che sapeva di non poter coltivare né fuori né dentro di sé.

Un mondo ideale

Quello a cui allude la pubblicità, come scritto, è il piano dell’idealità, la sfera dei nostri desideri, dei sogni, ciò che ci piacerebbe essere: vorremmo diventare più alte, più magre, più efficienti, più sicure di noi stesse, più seducenti.

foto di picjumbo_com


È proprio quella sfera che ci guida verso la realizzazione dei modelli che riteniamo vincenti e vicini alla nostra sensibilità: certamente non dobbiamo esagerare, mai immergersi esclusivamente nel nostro mondo ideale … perché dobbiamo sempre poterci confrontare con la realtà e con le nostre possibilità.

Tutto è perfetto

Nel mondo ideale, comunque, non esistono fallimenti, non ci sono brandelli di errore, tutto è semplicemente perfetto: come quando, da bambini, osservavamo la vita degli adulti, il loro mondo segreto, al quale potevamo espirare ma che era per noi inaccessibile, immaginavamo che i nostri genitori fossero onnipotenti, invincibili, immortali e questo ci faceva sentire al sicuro, protetti, sotto una calda coperta.

Il mondo ideale rappresenta un luogo in cui possiamo rifugiarci anche da adulti, quando stiamo vivendo momenti difficili che non ci danno pace: come quando apprendiamo le orribili violenze che avvengono in tutto il mondo e questo ci fa temere anche per la nostra incolumità.
In questi casi ci fa proprio tanto piacere, mettendo una zampa dentro casa, sprofondare nel nostro soffice divano e abbandonarci ad un film ispirato da buoni sentimenti, capace di riscaldarci il cuore intirizzito dalla malvagità umana.

Spessissimo, quando ascoltiamo in televisione le testimonianze di vicini di casa e conoscenti di soggetti che hanno agito o subito gravi atti di violenza, sentiamo usare espressioni quali ‘erano una coppia tanto affiatata’ o ‘non ce lo saremmo mai aspettato’ o ancora, di nuovo, dannatamente quel ‘sembravano la famiglia del Mulino Bianco’.
Pare che in questi casi il mito di questa tenera famigliola, a mo’ di archetipo collettivo, possa in qualche modo scacciare via, rimuovere o anche solo mettere da parte – per qualche istante – la crudeltà di gesti che ci atterriscono, minano la pace del nostro sonno notturno, lasciando spazio ad un’atmosfera di surreale, immutabile serenità, ad una dimensione, appunto, idealizzata, che ci aiuti quanto meno a non guardare il nostro vicino di pianerottolo come se fosse Norman Bates di Psyco (e anche a non vedere nello specchio il muso di Hannibal Lecter).

Ultima riflessione

Cosa posso scrivere, a conclusione di questa riflessione?
Nonostante lo stereotipo della famigliola perfetta possa generare un certo risentimento per la sua inautenticità e la sua irrealizzabilità, dobbiamo ammettere che la trovata dello spot del Mulino Bianco è stata grandiosa, perché è riuscita ad innestarsi silenziosa ma inesorabile nelle teste e nei cuori di tutti noi vissuti in quegli anni, nell’incanto della televisione.

foto di fancycrave1


Lo spot della lieta famiglia italiana, di sani principi, ha potuto confortare i nostri pensieri, creando una sorta di piccolo paradiso personale al quale ispirarsi, un giardino segreto nel quale respirare aria incontaminata; il suo ricordo ci permette di pensare in modo positivo alla nostra capacità di creare un nucleo familiare nonostante tutto equilibrato, nel quale possiamo dimostrare l’affetto in modo sincero e condividere momenti drammatici ma anche istanti di autentica gioia.
La famiglia del Mulino Bianco, in definitiva, non esiste: questo, ormai, sembra un dato acclarato, anche tra i più incalliti idealisti.
Però, se presa a piccole dosi, con tanto di contagocce, può sicuramente farci bene.
Buona vita.

Articolo della dott.ssa Giorgia Aloisio, psicologa e psicoterapeuta (Roma).

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