Autobiografia erotica di Aristide Gambìa (2011) – Tiresia, andata e ritorno

Articolo della dott.ssa Giorgia Aloisio, psicologa e psicoterapeuta (Roma)

«Con le femmine bisogna provarci sempre, se no fai la figura del fesso», gli dicevano quando era bambino. Un viaggio autobiografico (e non) intorno a ciò che ci fa sentire vivi e ci mette alla prova, sempre.

Immagine da Pixabay

Mi lancio in quest’avventura

Quando decido di lanciarmi nella lettura di Domenico Starnone sono solitamente molto entusiasta: il suo stile letterario mi ha già da tempo ampiamente conquistata e quindi ho come la certezza che ciò che leggerò mi piacerà comunque, anche quando la trama mi appare poco convincente.

Questa volta il titolo mi ha stupita e intrigata: Autobiografia erotica …. Ho immaginato che Starnone, premio Strega 2001 grazie al romanzo Via Gemito, ex professore di scuola media e superiore, canuto e distinto signore ormai over 70, in uno sbiadito mondo dell’eros e della carnalità avrebbe solo intinto qualche dito.

Sbagliavo: ci si è buttato con tutte le scarpe, anzi, interamente, corpo e mente. Per proseguire sulla metafora dell’acqua, per me è stato come tuffarmi in una piscina vuota: ho avuto la sensazione di aver sbagliato romanzo e, nonostante la mancanza di acqua, di aver preso “un granchio”. Una botta metaforica.

Vacui rendez vous

Tutti quei vacui rendez vous di cui l’autore narra quasi in ogni pagina di questo “dannato” romanzo, quegli ossessionanti dettagli anatomici ripetuti fino all’inverosimile, l’oscenità insita nelle parole e la volgarità delle scene, lo squallore rocambolesco di certi frangenti …

Domenico Starnone

Devo ammettere che, in alcuni istanti, con la sensibilità di donna che porto inevitabilmente dentro, ho faticato a proseguire la lettura: ho provato fastidio, una specie di mal di mare, un vago senso di oppressione, a volte anche una discreta noia, mi sono domandata se, per questa volta, avrei potuto abbandonare l’adorato Domenico, il mitico autore di Lacci, e di farlo libera da sensi di colpa, mollare lui e tutto quell’armamentario antologico di macho latino così impersonale.


Una volta “risalita a bordo vasca”, mi sono fermata a riflettere: come sempre accade quando si leggono grandi autori, non ci possiamo arrestare alla prima reazione epidermica: non volevo credere che il professore, uomo del Sud dai sottili occhi rassicuranti e paterni, avesse fallito. Dobbiamo sempre ricordarci di chi ha scritto le pagine che stiamo leggendo. Bisogna addentrarsi, inabissarci nelle profondità dei messaggi di un testo, immergerci nelle riflessioni che l’autore deposita nella nostra mente, non fermarci al mero dato sensoriale.

Così ho proseguito nella faticosa lettura, a volte sorvolando qualche pagina poco avvincente, a tratti fermandomi un po’ affaticata e, lentamente, con calma, mi si è dischiuso un mondo di riflessioni che provo a condividere, in parte, in questo articolo.
Rimaniamo, ancora un po’, almeno per adesso, al livello dei “bassi istinti”, che poi costituiscono la gran parte di questo romanzo. Che cos’è questa storia dell’autobiografia erotica? Per farla breve, vi ragguaglio sulla trama.

Immagine da Pixabay


La trama


«Aristide Gambìa è un piccolo borghese còlto che ama il sesso ma senza esagerare», un uomo con «un nome da vecchio signore di fine Ottocento», con il quale si parla così bene che ci si potrebbe chiacchierare per giorni senza annoiarsi.

Così l’autore definisce il protagonista di questa odissea osé, un racconto biografico che si dipana per tappe erotiche e che inizia con la storia di un adolescente inesperto e goffo, per passare attraverso il racconto di una vita adulta caratterizzata da disinibizione e sperimentazione fino all’evaporazione, in età avanzata, di ogni barlume di sogno a luci rosse.

La vita sessuale del protagonista

Il percorso sessuale di Aristide, inoltre, è non solo un cammino individuale: ha anche risvolti sociali e politici, perché risente fortemente degli anni Sessanta e delle trasformazioni avvenute (o sperate) a livello sociologico e relazionale.
L’occasione per snocciolare le proprie peripezie sensuali, Ari – diminutivo con il quale l’autore chiama teneramente il protagonista – la coglie in un evento molto bizzarro che gli accade mentre si trova in viaggio verso i sessant’anni: riceve, infatti, una missiva cartacea da parte di una donna incrociata decenni prima, con la quale aveva avuto una fulminea quando rocambolesca liaison, tanto furtiva che il protagonista stenta a ricordarla.

Immagine da Pixabay

La lettera di questa semi-sconosciuta, dopo qualche riga, assume toni inaspettatamente spinti e diventa via via più sboccata: la donna racconta di quel loro lontano (e forse dimenticabile) incontro sessuale con dovizia di particolari anatomici e fisiologici, il tutto confezionato in modalità priva di affetti, senza trasporto né rimpianti, privo di note nostalgiche e di curiosità.

La misteriosa “letterina” si conclude con un invito a rivedersi, dal momento che lei in quei giorni si trova a passare per Roma, dove Gambìa vive in pianta stabile, pur essendo di origine partenopea (elemento autobiografico). Che senso avrebbe, però, rivedersi, visto che sono passati decenni, non si sono mai più rivisti né sentiti e non c’è stato nulla di così coinvolgente tra di loro?

La proposta “indecente” di Mariella

Mariella dichiara anche di non aver quasi più ripensato a quell’avventura durata qualche ora. Da lì in poi, Ari parte per narrare la genealogia della sua vita sessuale: l’incipit sono i primissimi impulsi infantili quando, ancora carponi a terra, osservava con timida curiosità lo svolazzare della gonna materna.

La gran parte del romanzo è costituita dalle iniziazioni, i matrimoni, i tradimenti, l’illusione sessantottina dell’amore libero, l’irrealistica sovrapponibilità del sentire maschile e di quello femminile e … molto, davvero molto altro ancora.

La lingua delle origini: il confronto con se stessi

Immagine da Pixabay


La lingua, più che mai in questo romanzo, la fa da padrona. Una lingua diretta, tagliente, senza veli, scabrosa, a tratti stucchevole, capace di tormentare il lettore con la sua ripetitiva oscenità, grottesca, ridicola, tragicomica, drammatica, volta a far trasparire molti dei conflitti che albergano nella psiche maschile: la volontà di soddisfare standard di mascolinità ideali – che, in quanto ideali, si rivelano necessariamente irraggiungibili – che però si scontra con la personale modalità di cercare e procurare piacere ad una donna, il tentativo di carpire le fantasie femminili, la paura di fallire, di deludere, di risultare inopportuni, indesiderati, di non comprendere una mente diversa.

Sì, lo ammetto: sono una che pensa che uomini e donne siano diversi, anche molto. Penso anche, però, che queste differenze, più che spaventare o allontanare o peggio dover essere livellate con una immaginaria pialla, siano alla base dell’attrazione, nei legami eterosessuali, e possano costituire un inesauribile fonte di arricchimento per entrambi i poli della relazione.


L’elenco di parole scurrili (per un romanzo che scurrile non è)

Per prepararsi a stendere questo testo, l’autore scrive nel medesimo romanzo: «pensai di stilare un elenco delle volgarità che conoscevo, in lingua e in dialetto». L’uso che Starnone propone della lingua italiana, infatti, è sapientemente impreziosito dalle sue radici partenopee, dalla gioventù, dai suoi familiari e dai significati che certe parole dialettali scurrili hanno la capacità di svelare ed evocare – perché in alcuni casi l’uso del dialetto è più “azzeccato” rispetto all’italiano standard.

Immagine da Pixabay

«A Napoli», continua, «nell’ambiente in cui ero nato, l’oscenità era normale, tanto normale che nessuno, maschio o femmina, ne faceva a meno» e ancora: «i miei modelli infantili erano mia nonna e mio padre, tutti e due abilissimi nell’uso dell’osceno». Scrivere di questi argomenti e con questo lessico può non essere semplice da vari punti di vista e infatti l’autore confessa: «più scrivevo più mi imbarazzavo.

Pensavo a quando mi avrebbero letto mia moglie, i figli, i nipoti e i conoscenti. Tuttavia mi dicevo: lavora, su, prima scrivi, poi decidi cosa farne. Invece ad un certo punto mi fermai e trovai interessante proprio quel disagio: analizzare il mio senso del conveniente e dello sconveniente, del concio e dello sconcio».


Il dialetto come veicolo

Il dialetto, quindi, cambia il registro della comunicazione, i significati che questa veicola e arriva addirittura a confrontare, chi scrive, con una nuova, rinvenuta identità. Sempre in questo testo, Starnone scrive: «quando mi concentravo su parole del mio dialetto, avevo spesso l’impressione di accostarmi a un altro me, più scomposto, che da tempo avevo allontanato».

Un romanzo e una lingua, quindi, che servono allo scrittore per ritrovare e riabilitare un sé lontano, quasi dimenticato, estraneo, un esercizio di rimembranza e di nuova accoglienza. Recuperare quell’antico lessico è per l’autore «ritrovare un me perso o lasciato ai margini». Inutile sottolinearlo, Starnone è di straordinaria abilità nel passare da un registro ad un altro, esperto com’è a saltare da una scena audacemente osé alla passione che infuoca il corpo, il cuore, e che non fa dormire.

Temi e considerazioni


Gli argomenti che emergono da questa autobiografia, com’era da aspettarsi, sono tanti e toccano questioni cruciali per la mente umana: c’è il tema dell’invecchiamento, l’avvicinarsi della morte, lo svigorirsi – volente o nolente – della capacità sessuale; c’è il confronto con il desiderio e con la fantasia erotica che, al contrario, non conoscono età.

Immagine da Pixabay

Domina, fra tutte, la riflessione sul rapporto uomo-donna e su questo “gran guazzabuglio che è il cuore umano”, per dirla con Manzoni, tema che posso riassumere con l’espressione “il sempiterno caos” che sono cuore, corpo e psiche.


Godimento e piacere

Starnone si interroga sul godimento, sulla reciprocità del piacere, sulla possibilità di cogliere l’altro, con tutte le sue fantasie, di coglierlo anche con le sue mancanze, le sue paure. C’è poi il controverso e scomodo rapporto tra felicità e piacere, tra amor cortese e passione erotica, ma anche la dicotomia tra potenza e impotenza, fra tradizione e rivoluzione sessuale, memoria e oblio, genitorialità e celibato/nubilato, sperimentazione e stasi.


In questo romanzo (che è quasi un saggio, tanti sono gli spunti psicologici, sociologici, culturali), emergono senza troppi fronzoli gli aspetti più fragili del maschile: il protagonista, infatti, mostra spesso il suo lato più indifeso, la parte dubbiosa e incerta di se stesso e non fa mistero dell’ambivalenza che a volte la sfera sessuale ha suscitato in lui.

Aristide rammenta i primi approcci al proprio corpo («mi terrorizzava, mi stupiva, mi turbava tutto ciò che – intuivo – aveva a che fare col sesso») e a quello delle donne («vivevamo sotto spinte divergenti, vi desideravamo e ci facevate orrore»).

Emerge l’ansia di dare e ricevere piacere allo stesso tempo, come sembravano assicurare la vulgata, i ragazzini di strada, i cugini più esperti; si vagheggiavano coiti perfetti, all’unisono, macchine ben programmate e oliate a dovere, che funzionano automaticamente.

Immagine da Pixabay

Il mistero dell’attrazione

Insieme a Starnone riflettiamo sul mistero che porta il nome di “attrazione”, dimensione incontrollabile, imprevedibile, difficile da esplorare, con l’autore ci soffermiamo sulla rappresentazione che abbiamo di noi stessi e che ci illudiamo di riproporre anche agli occhi degli altri: «noi crediamo di piacere per come ci immaginiamo di essere e invece le persone sono sedotte da qualcosa che ci è del tutto sconosciuto».


Un altro argomento a me molto caro riguarda le tante aspettative che ruotano attorno agli uomini e che anche noi donne, spesso, contribuiamo ad alimentare. Mi torna alla mente quella canzone di Elio e le Storie Tese, Cara ti amo (che ha come sottotitolo “risvolti psicologici nei rapporti fra giovani uomini e giovani donne”), nella quale vengono ironicamente fatte emergere alcune tipiche conflittualità tra i desideri femminili, spesso incomprensibili per gli uomini o francamente contraddittori, e i tentativi maschili di soddisfare al meglio le richieste esplicite e non delle loro partner.

Elio e le Storie Tese


Come devono agire questi uomini? Seguire un codice cavalleresco? Impegnarsi? Mostrarsi liberi e libertini? Dimostrare qualcosa? E se sì, a chi? Essere come sono, come ironizza Elio, oppure cambiare? Devono essere espliciti nelle loro intenzioni oppure restare nell’ombra?

Aristide/Domenico e i modelli maschili

Con ironica provocazione, Aristide riferisce che, da bambino, i suoi modelli maschili gli avevano insegnato che «con le femmine bisogna provarci sempre, se no fai la figura del fesso», anche se poi, a ben guardare, fessi erano quegli uomini che avevano buone maniere, quelli rispettosi che preferivano aspettare dalle donne «lampanti segnali di consenso».

«Mio padre stesso mi spronava: tu sulle femmine ci devi buttare le mani, guagliò, non devi essere timido». Questa spavalderia, a volte, sembra più il frutto di un’aspettativa e un incentivo maschili, un riconoscimento da parte dell’uomo della sua identità di polo attivo e propositivo, …

Come devono agire, con noi donne, gli uomini??

Ci aspettiamo che ci accolgano, questi uomini, che ci comprendano, ci trattino come fragili creature da proteggere ma anche come identità femminili da esaltare e apprezzare; che sappiano leggerci senza bisogno di comunicare, siano in linea con le nostre esigenze, gli sfizi, le estemporaneità, siano privi di un passato … vogliamo che sappiano essere, dire, fare.

Torniamo al caos, al “guazzabuglio”, all’ambivalenza, alla confusione che regnano sovrane nelle vite umane, alla libertà che non esiste; e forse il bello è proprio questo, che non troviamo mai il bandolo della matassa ma continuiamo imperterriti ad osservare noi e gli altri, a ponderare gesti, segnali, a smentire strategie e poi a metterle immancabilmente in pratica. Insomma, da questo colossale, lascivo, tenero romanzo di Domenico Starnone, tanti pensieri mi sono balenati nella mente, uno fra tutti: non deve essere semplice, “fare” gli uomini.

Articoli simili