Recensione al romanzo “Storia di una capinera” di Giovanni Verga

“Storia di una capinera”: moderna introspezione psicologica di fine Ottocento

Articolo della dott.ssa Giorgia Aloisio, psicologa e psicoterapeuta (Roma)

storia di una capinera

Maria, orfana di madre fin dalla più tenera età, è una diciannovenne in procinto di prendere i voti e farsi monaca: per sfuggire a un’epidemia di colera che si è diffusa nei pressi del suo monastero, la giovane è costretta a tornare temporaneamente nella casa paterna prima di prendere definitivamente i voti. La ragazza soggiorna per un breve periodo nella casa di campagna della famiglia insieme a padre, matrigna e ai figli che questi hanno avuto: la scelta di mandare la ragazza in convento è stata maturata dal padre e dalla sua nuova moglie perché la famiglia, di umili origini, non avrebbe avuto i mezzi economici per garantirle dote e mantenimento.

Maria esce dal convento e s’immerge in un mondo a lei sconosciuto, nel quale si sente «sbalordita, astratta, trasognata», in cui tutto la sconvolge e stupisce: il contatto con la natura (che lei adora), il ritrovato rapporto con i familiari (con il padre in special modo, unico legame con le sue origini), le serate in compagnia dei vicini di casa, ognuno di questi elementi in apparenza banali rappresentano per Maria una straordinaria deviazione dalla sua “normalità”.

storia di una capinera (il film di F. Zeffirelli)

I primi segnali del risveglio affettivo

La pace e il raccoglimento vissuti abitualmente nel chiostro iniziano a subire alcune turbolenze perché Maria scopre sensazioni e sentimenti mai sperimentati prima: queste novità la colgono di sorpresa, causandole timori e sensi di colpa nei confronti della monacazione. L’evento che maggiormente la sconvolge è l’incontro con un giovane, figlio dei vicini di casa: dapprima Nino la turba in un modo che Maria non è in grado di decifrare perché provoca in lei un intenso desiderio di fuga misto ad una sorta di avversione nei confronti del giovane stesso. Con il trascorrere dei giorni, invece, la ragazza si accorge che ciò che sente non è fastidio ma pura e semplice attrazione verso di lui, un impulso a stargli vicino che cresce di giorno in giorno contro la sua volontà e s’impone nelle sue giornate senza sentir ragioni.

Maria non riesce più a pensare ad altro che a Nino e finalmente dà un nome al suo sentimento: «è più forte di quello che porto al mio Dio! … Questo è quello che al mondo chiamano amore… l’ho conosciuto … lo veggo … è orribile! È orribile! … è il castigo di Dio, la perdizione, la bestemmia […] io sono perduta!». La giovane è atterrita da se stessa, sembra non riconoscersi più e si contorce interiormente nella speranza di combattere il sentimento d’amore che prova; naturalmente, questa guerra è completamente sterile perché la sua passione continua a crescere. Inoltre ella si accorge che anche Nino ricambia il suo sentimento. Nel carteggio con la compagna del convento, Marianna (il romanzo è scritto in forma epistolare) che però ha scelto di abbandonare la strada del chiostro, Maria esprime lo sconvolgente tsunami emotivo che sta vivendo. «Tutto il mio essere è pieno di quell’uomo: la mia testa, il mio cuore, il mio sangue. L’ho dinanzi agli occhi in questo momento che ti scrivo, nei sogni, nella preghiera. Non posso pensare ad altro».

Una sera in cui la famiglia l’aveva convinta (o meglio costretta) a rimanere in stanza durante una festa, il giovane intrepido fa irruzione fuori dalla sua stanza: dalla finestra si sente un tramestio e Maria “sente con il cuore” che sono i passi del suo amato, alza lo sguardo verso la finestra e i loro occhi profondamente turbati s’incontrano per la prima volta in modo così intimo.

L’analisi di questa scena, delle sensazioni dei due ragazzi e più in generale della costellazione interiore di Maria viene realizzata da Giovanni Verga in modo mirabilmente accurato: ci sono momenti nei quali, durante la lettura del romanzo, viene quasi da fantasticare che il testo non sia stato scritto da un uomo ma dalla mano di una giovane donna o, quanto meno, ispirato da una mente femminile che potrebbe aver affiancato l’autore nella stesura del testo. Le titubanze, le riflessioni, le angosce di Maria fanno decisamente parte dello strumentario affettivo che noi donne ben conosciamo e stupisce quanto un uomo possa essere così sensibile a percepire certe emozioni e tanto abile a descriverle … Qui, per la giovane, si apre una nuova possibilità: quella del cambiamento.

Aprire gli occhi e il cuore: la possibilità di cambiare vita

Nel loro unico colloquio, avvenuto attraverso il davanzale della stanza dove Maria era stata relegata, Nino, nonostante l’imbarazzo, prova a incoraggiarla a ribellarsi alle dinamiche familiari che la giovane subisce passivamente, la invita a prendere in mano la propria vita e ad imprimerle una svolta: «voi siete la vittima […] della cattiveria di vostra matrigna, della debolezza di vostro padre, del destino».

Nino, con il suo sguardo realistico e coraggioso, funge da specchio per Maria: le mostra le incongruenze della sua vita, i conflitti legati alla monacazione forzata (molto diffusa in passato, come ben rappresentata dalla vicenda della monaca di Monza in Manzoni), le ingiustizie subite, lo spazio che cercano di ottenere i suoi più profondi desideri con i quali ella deve necessariamente fare i conti. La giovane, tra le lacrime, si ostina a sostenere il contrario: no, il chiostro è stata una sua libera scelta e vi farà ritorno appena possibile.

foto da Pixabay

Maria non concepisce la possibilità di scegliere una vita diversa e abbandonare il noviziato come aveva fatto la sua amica Marianna: «Nacqui monaca» sentenzia davanti a Nino che esplode in un pianto irrefrenabile. Nonostante le titubanze, la protagonista rimane ferma nella scelta che altri hanno fatto al suo posto e non riesce a concepire strade differenti, inesplorate, mai nemmeno concepite ma che probabilmente la renderebbero una persona serena e in pace con se stessa. Naturalmente la scelta di diventare suora non rappresenta di per sé un malus quando è frutto di un sentire sincero e determinato: intraprendere un percorso che non sentiamo nostro, estraneo alla nostra sensibilità, al contrario, costituisce un grave errore e a pagarne le conseguenze siamo principalmente noi stessi.

La posizione di Maria

La protagonista rifiuta, quindi, di porsi al centro della propria vita e continua imperterrita a restare fedele al progetto della monacazione che altri hanno scelto al posto suo: scrive a Marianna (e confessa in primis a se stessa) che si è riconciliata con Dio e con la sua vocazione, che desidera tornare a quella pace dei sensi che provava «ai piedi di quel crocifisso […] laggiù, in quella cella» e chiude a doppia mandata la sua porta al mondo.

Nonostante la decisione, il pensiero di Nino la perseguita ossessionandola costantemente: d’altronde, la lava bollente che l’incontro con il mondo ha causato in lei continua a scorrere e il vulcano si è definitivamente svegliato. Con incredibile inflessibilità la protagonista sceglie di restare “dove si trova” nonostante tutto e finisce per scontare questa decisione sbagliata pagandone il prezzo più alto. In famiglia, inoltre, avvengono una serie di fatti successivi al soggiorno in campagna che rendono il fardello di Maria decisamente insostenibile.

foto da Pixabay

Seguono lettere strazianti, nelle quali Maria manifesta un crescente disagio che assume forme psicologiche ma anche somatiche (patologie o sensazioni di essere malata) e che la riduce ad una vittima indifesa delle proprie decisioni, una prigioniera ingabbiata dalle proprie mani che sfoga la propria rabbia su se stessa: «mi pare di esser pazza… Vorrei strapparmi i capelli; vorrei lacerarmi il petto colle unghie; vorrei urlare come una belva e scuotere coteste grate di ferro».

Maria è diventata irrequieta fuori dal convento ma ormai questa trepidazione la segue anche nel chiostro e la spiritualità che un tempo tanto la confortava ormai non è più in grado di darle il minimo sollievo. Come suggerisce il titolo di questo romanzo e come spiega l’antefatto dell’autore, Maria è paragonabile ad un uccellino in gabbia (la capinera): condivide con gli uccelli deprivati della libertà lo stesso senso di schiavitù e la stessa melanconia.

Come un volatile costretto a restare in disparte, isolato dai suoi simili dei quali sente il cinguettio spensierato e invidiabile, allo stesso modo Maria vive nel dolore della sua prigione dove non trova in alcun modo consolazione: la fuga dalla gabbia sembra l’unica possibilità di fuga da una vita breve e tormentata dalla quale non c’è più scampo (un esempio del tipico pessimismo verghiano, della visione pessimistica che l’autore nutre nei confronti della società).

Una riflessione di noi “moderni”

Quante storie conosciamo, oggi, che in qualche modo ci ricordano le forzature che sceglie di vivere la protagonista di questo romanzo? E quante volte, nella nostra vita, ci siamo imposti dei regimi, dei percorsi che non sentivamo come “nostri” ma che abbiamo scelto comunque di seguire fino in fondo?

foto da Pixabay

Si può trattare di scelte sentimentali, lavorative, formative … Quante volte si preferiscono strade note e illuminate dalle lanterne altrui pur di non scontentare le promesse fatte ai nostri parenti più stretti e, in definitiva, a noi stessi? Rigidità, cecità psichica, paura di cambiare e mettere a repentaglio le nostre vite, ma anche timore di essere felici: sono questi gli ingredienti fondamentali che portano a percorrere strade impervie, impersonali, dolorose e che non desideriamo. Intraprendere un cambiamento, anche solo immaginarlo, entrarci in contatto a livello fantasmatico, possono rappresentare sfide complesse ma che dobbiamo sperimentare se desideriamo vivere in modo soddisfacente.

La fine della storia di questo romanzo consiglio di non cercarla su Google perché considero questo romanzo molto affascinante e ricco di spunti di riflessione per tutti noi “moderni” e lo ritengo uno libro da leggere.
Composto da Giovanni Verga, massimo esponente del verismo, durante un soggiorno dell’autore nella città di Firenze nel 1869, “Storia di una capinera” venne dato alle stampe nel 1871: è ambientato nel 1854. Nel 1993 il regista Franco Zeffirelli ha realizzato un film tratto dall’omonimo romanzo nel quale compare anche la celebre attrice Vanessa Redgrave. Un libro intenso, melanconico e, nonostante le dovute differenze legate al tempo trascorso fino ad oggi, capace di racchiudere in sé delicatezza, dolcezza e sensibilità davvero uniche e comunque sempre attuali.

 

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