Lacci (recensione al romanzo)

Articolo della dott.ssa Giorgia Aloisio, psicologa e psicoterapeuta (Roma). Recensione al romanzo Lacci di Domenico Starnone

Immagine da Pixabay (Cherylholt)

Qualche anno fa una vecchia amica mi consigliò caldamente di leggere questo romanzo; mi è piaciuto così tanto che dopo tre anni l’ho riletto. E tra la prima e la seconda lettura, ho divorato altri meravigliosi romanzi del medesimo autore (qualcuno recensito su questo blog) che mi hanno fatta follemente innamorare di Domenico Starnone, ex professore di Lettere, arguto partenopeo dalla penna vivace, capace di farti immergere nei romanzi come succede di fronte ai film più avvincenti. Ho riso di gusto con Spavento, ho amato e pianto con Via Gemito (che gli è valso il premio Strega nel 2001), poi ho letto Scherzetto, Autobiografia erotica di Aristide Gambìa, … la lista è lunga.

La trama: breve sintesi


Lacci ci racconta la storia di una famiglia che potrebbe essere la nostra o quella dei nostri vicini di casa: una coppia con prole che, ad un certo momento, s’incrina ed entra irrimediabilmente in crisi. Dopo anni di matrimonio, durante l’infanzia dei suoi figli, Aldo si accorge di essere attratto da un’altra donna, Lidia, giovane, frizzante, capace di risvegliare in lui una gioventù finita nel dimenticatoio. Quando sua moglie Vanda scopre l’esistenza di questa rivale, la coppia esplode e la famiglia subisce un terremoto, Aldo si allontana da casa e si abbandona al nuovo brivido amoroso. Lacci racconta la storia di una famiglia, dei suoi rigurgiti, delle fughe e dei ritorni e lo fa da diversi punti di vista; però mi fermo qui, per non svelare troppa trama a chi il romanzo non lo ha ancora letto.


Tra i componenti di questo nucleo familiare compare anche Labes, discreto e perspicace gatto di casa che fin dall’inizio sparisce dalla scena misteriosamente, un personaggio davvero emblematico persino nel nome che è tutto un programma: il felino ha questo bizzarro appellativo, Labes, che dovrebbe rappresentare le prime cinque lettere di “la bestia”, ma che sembra che invece derivare dal vocabolo latino “labes, labis” (rovina, frana, smottamento…).

Domenico Starnone


Gli interrogativi dell’autore

Gli interrogativi di fronte ai quali Starnone ci pone sono, come sempre, numerosi, sfaccettati e potrebbero riguardare chiunque: partiamo innanzitutto dal titolo, dalla parola “lacci” che riporta alle scarpe e che quindi ci ricollega alla terra sulla quale viviamo e posiamo tutti i giorni i nostri piedi. I lacci chiudono le scarpe che indossiamo, creano dei legami, dei collegamenti. Dai lacci, materia grezza e tangibile, voliamo leggeri verso temi via via più impalpabili: il laccio ci conduce metaforicamente ai legami che connettono le persone tra di loro.

Mi riferisco ai lacci che legano indissolubilmente genitori e figli, che collegano mogli a mariti, gli amanti tra loro; lacci che a volte vorremmo cambiare, altre volte spezzare definitivamente, oppure ricostruire ex novo. La questione, quindi, si fa più pregnante e ci mette di fronte a piani più complessi, a temi angoscianti che hanno a che fare con la nostra intimità, l’identità, la possibilità di operare libere scelte nella nostra esistenza: quali sentimenti ci tengono legati all’altro?

Si tratta di sentimenti, quando ci riferiamo a quei “lacci” che ci stringono agli altri, o sono piuttosto i sensi di colpa, gli interessi personali, la comodità, le abitudini a mantenerci avviluppati?
I legami strappati si possono ricucire? Ha senso provare a ricucirli? Si tratta di legami autentici, di “buona qualità”, basati su sentimenti saldi, potenti, sinceri?

La metafora


Sempre rimanendo nell’ambito della metafora del “laccio” inteso come legame tra persone, possiamo affermare che un “laccio” si rompa quando una relazione non funziona più (per almeno uno dei membri). La riflessione ci conduce spontaneamente al post-rottura, cioè alle conseguenze della frattura: cosa succede nella persona che subisce, suo malgrado, lo strappo relazionale? E cosa, invece, in chi lo mette in pratica?

Poniamo il caso che, come nel romanzo, ad una rottura segua una ricucitura: cosa succede, poi, nelle coppie, nei figli, nelle famiglie, quando i legami un tempo spezzati vengono ripristinati, o quanto meno, si prova a farlo? Le domande che si presentano alla nostra attenzione sembrano generarsi le une dalle altre, come per autogenesi: una, ad esempio, sulla quale Starnone ci induce a riflettere, ha a che fare con le conseguenze che può generare questa sorta di “toppa” virtuale, su chi agisce il rammendo, ma anche su chi lo vive come conseguenza delle scelte altrui (i figli, gli ex partner). E quindi, come gestire questo tipo di situazioni quando in mezzo alla ragnatela relazionale ci sono dei figli? Nascondere i propri stati d’animo o mostrarli? Indossare maschere o farne a meno?

E poi, è davvero possibile nascondere certi sentimenti, determinate emozioni? Con un po’ di arroganza e onnipotenza, a volte, ci illudiamo che chi è più giovane “non veda” certe maschere, le forzature e le finzioni con le quali portiamo avanti un certo stile di vita, certe relazioni.
È possibile risanare i danni emotivi provocati in chi abbiamo messo al mondo? Esiste una forma di risarcimento nei confronti dei componenti più fragili, come suggerisce la figlia di Aldo circa alla fine del romanzo, un risarcimento che possa riequilibrare lo sbilanciamento coniugale?
E poi, la domanda per eccellenza: quando una coppia scoppia, c’è un colpevole, reo di aver generato la spaccatura del nucleo familiare?


Le nuove possibilità relazionali

Quando una nuova possibilità relazionale si staglia sull’orizzonte, ricominciamo a sentirci vivi, ancora desiderabili nonostante gli anni, gli acciacchi, gli errori commessi, i limiti sperimentati nelle pregresse relazioni: questa nuova possibilità di amare ed essere riamati ci investe emotivamente, stimola in noi una fantasia che ci fa sentire arricchiti e pieni di speranze. Ricominciamo ad immaginare prospettive prima impensate e per questo motivo stimolanti; allontaniamo da noi il senso di fallimento, l’angoscia dell’eterno ritorno, della monotonia e della fine.

E siamo ancora una volta immersi nel garbuglio, nel guazzabuglio del cuore umano (di manzoniana memoria), in quelle circonvoluzioni che sentiamo dentro di noi e che a volte agiamo, altre, invece, ci limitiamo ad immaginare, a fantasticare. Fare chiarezza dentro di noi non è sempre semplice; quando poi dobbiamo soppesare anche le ricadute delle nostre prese di posizione sulle persone alle quali vogliamo e abbiamo voluto bene, i nodi (per tornare al titolo del libro) si fanno più stretti e meno districabili.


Con questa recensione dedicata al romanzo Lacci di Domenico Starnone intendo soffermarmi sul fatto che è bene tenere a mente che non esistono ricette magiche, né indicazioni valide per tutte le situazioni, per tutti gli individui; togliamoci dalla testa che esistano guru metropolitani, fantomatici coach specializzati nel dirimere questo genere di questioni e sbarazziamoci della convinzione che emulando quello che ha messo in pratica il nostro amico o l’attrice famosa possano funzionare anche nel nostro caso.

È importante rimanere in contatto, quanto meno nei primi periodi, con le emozioni e con i conflitti che queste emozioni generano: sospendiamo l’azione, riflettiamo. Con ponderazione, empatia, in ascolto di noi stessi e dell’altro, possiamo provare a costruire prospettive diverse, che ci potrebbero in parte condurre verso percorsi noti, familiari, confortevoli in parte verso cammini inesplorati, da sperimentare…

Amici in vacanza sulla spiaggia di Ostend il primo luglio 1938: gli uomini indossano un costume a pezzo unico a righe (STAFF/AFP/Getty Images)

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