I sopravvissuti al suicidio: quando il dolore psichico affligge i cari
Suicidio: i numeri in drammatico aumento
Ogni anno, nel mondo, circa un milione di persone muoiono per suicidio. Tra i giovani, il suicidio è la seconda causa di morte.
Secondo l’Istituto Superiore di Sanità (ISS), ogni circa 40 secondi una persona muore suicidandosi.
Sempre secondo i dati dell’ISS, in più del 90% dei casi, il soggetto era affetto da un disturbo di natura psicologica o psichiatrica.
Il suicidio, però, è un evento che possiamo prevenire, in un certo numero di casi, ed è per questo che è fondamentale operare a tutti i livelli una prevenzione primaria, secondaria e terziaria.
Nessuna distinzione
Ci troviamo di fronte ad un evento dall’impatto drammaticamente elevato che non fa distinzioni di alcun tipo, né per etnia, per provenienza geografica, età, sesso, livello socio-culturale. Per ogni persona morta a causa del suicidio, ci sono circa sei persone che ne risultano colpite in maniera più o meno diretta: si tratta di parenti e amici dell’individuo scomparso, che vengono tecnicamente definiti “survivor”, ovvero “sopravvissuti”.
Chi sono i “survivor”
La morte per suicidio è una morte estremamente dolorosa per chi resta in vita e può generare un intenso dolore psichico/psicologico.
Si tratta di un decesso differente dagli altri, perché spesso avviene in modo violento o inaspettato.
La morte per suicidio può, inoltre, generare sensi di colpa nei sopravvissuti, oltre che anche senso di imbarazzo e vergogna.
Come sempre accade, se prima dell’evento esistevano condizioni psicopatologiche oppure una certa fragilità di tipo psicologico (non necessariamente esitata in un disturbo conclamato), queste condizioni rischiano di peggiorare, sconfinando in un vero e proprio malessere psicologico, al momento del suicidio del caro.
Non ultimo, il suicidio può essere emulato da alcuni parenti della vittima: chi ha tra i propri cari una persona deceduta per suicidio ha purtroppo un maggior rischio di morire suicida rispetto alla popolazione normale.
Spesso, nelle storie di questi individui e di queste famiglie, ci sono disturbi di ordine depressivo, anche se non sono sempre considerati “patologici” i soggetti che arrivano a commettere l’atto finale.
Uno stigma sociale
Chi ha tentato il suicidio o chi ha un parente deceduto in questa modalità subisce un vero e proprio stigma sociale, vale a dire una riceve una sorta di “alone” di negatività ad essi associato, una specie di “lettera scarlatta” che le persone paiono portarsi appesa al collo, ed è per questo che spesso cercano di non parlarne.
Spesso noi specialisti della salute mentale formuliamo alcune domande su questo tema, durante i primi colloqui o in fase trattamentale e non è sempre semplice porre questo genere di quesito alle persone che ci chiedono aiuto.
L’argomento, scomodo per definizione, può generare molte resistenze ed è necessario avere molto tatto e capacità di ascolto, nell’affrontarlo.
Convinzioni erronee
Una delle più frequenti convinzioni (spesso del tutto infondate) dei parenti che sopravvivono al caro deceduto per suicidio, è che “avrebbero potuto fare qualcosa per evitare” la tragedia.
Un altro sentimento molto frequente nei “survivor” è la rabbia verso il defunto, colpevole non solo di non esserci più ma di essere stato la causa della propria scomparsa.
Inoltre, chi si è tolto la vita ha deliberatamente scelto di non farsi aiutare dalle persone vicine, anzi, ha deciso di separarsene per sempre.
Queste riflessioni possono costituire un vero e proprio flagello nella mente e nel cuore di chi sopravvive ad un caro che ha deciso di morire in questa modalità.
Il suicidio come trauma nell’esistenza dei “survivor”
Il suicidio è inoltre un evento traumatogeno: si tratta di una scelta capace di generare un vero e proprio trauma nei sopravvissuti.
Il trauma può generarsi sia nel momento in cui le persone rinvengono materialmente il corpo della persona cara, ma anche all’arrivo della drammatica notizia.
È un lutto difficile da elaborare, che può aver bisogno del supporto di specialisti psicologi, soprattutto di professionisti che abbiano una formazione in tal senso, quindi psicologi formati in pronto soccorso psicologico, in psicotraumatologia, in disturbo post-traumatico da stress e in disturbi dissociativi.
Esistono numerosi centri che si occupano di queste tematiche, sul nostro territorio, come presso l’ospedale S. Andrea di Roma (prof. Maurizio Pompili).
Suicidio e società
Il suicidio impatta non solo sui parenti e gli amici della persona scomparsa, ma ha un riverbero anche sulla comunità e, più in generale, sulla società.
Come ricorda Maurizio Pompili citando Edwin Shneidman (1972), esperto in questo ambito, “i sopravvissuti sono la più grande comunità di vittime nell’area della salute mentale connessa al suicidio”.
L’importanza del dialogo
Parlare del suicidio di una persona cara o lasciar emergere di aver avuto idee suicidarie è importantissimo nell’ambito della prevenzione del suicidio.
Gli specialisti della salute mentale sanno come accogliere questo genere di considerazioni e potranno aiutarvi nell’elaborazione di eventi luttuosi che a volte possono apparire insuperabili.
Buona vita.
Siti utili
https://www.prevenireilsuicidio.it/
Articolo della dott.ssa Giorgia Aloisio, psicologa e psicoterapeuta (Roma).
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