Qualche domandina al padre della psicoanalisi: intervista virtuale a Sigmund Freud
Articolo della dott.ssa Giorgia Aloisio, psicologa e psicoterapeuta (Roma).
Le motivazioni alla psicoterapia
Perché si va in psicoterapia? Quali sono le motivazioni che portano un individuo a confrontarsi con uno specialista della salute mentale? Ce lo siamo chiesti un po’ tutti, in alcuni difficili momenti della nostra esistenza e non c’è nulla di strano nel confrontarci con questo genere di interrogativo.
Gli ‘addetti ai lavori’ si dovrebbero contare sulle dita di una sola mano e invece, negli ultimi anni, sono proliferate figure poco chiare e di dubbia professionalità che pretendono di occuparsi di salute mentale anche quando non sono esplicitamente autorizzate (vedi i counselor che, come sappiamo, non sono abilitati ad interfacciarsi con questioni di natura psichica). Questa indebita proliferazione da parte di medium creativi e quasi magici crea grande confusione tra il pubblico dei non specialisti ed è per questo che ho deciso di scrivere questo post: per fare un po’ di chiarezza, ancora una volta, perché la chiarezza non è mai sufficiente se si tratta di prevenire disagi psicologici e, in generale, preservare la nostra salute psicofisica. Se vi interessa chiarire chi sia lo psicoterapeuta, potete leggere ciò che ho scritto in questo precedente post.
Intervista virtuale al fondatore della psicoanalisi
Proviamo a porre (virtualmente) le domande di cui sopra al fondatore della psicoanalisi, il maestro di tutti i terapeuti (nonostante le divergenze), Sigismund Schlomo Freud, fondatore della ‘talking cure’ come la definì una sua famosa paziente: leggendo le prime righe del saggio L’analisi dei non medici (1926) non è difficile comprendere le ragioni alla base di una richiesta di sostegno psicologico e … vi potrà capitare di riconoscervi in qualcuno dei quadri descritti da Freud.
Leggiamo a pagina 353 che chi si rivolge ad un analista «può soffrire di oscillazioni di umore che non riesce a padroneggiare, o di uno scoramento che paralizza ogni sua energia e gli toglie fiducia in se stesso, o di un imbarazzo ansioso di fronte agli estranei.
Può accorgersi di incontrare difficoltà che non sa spiegare, nell’esecuzione del suo lavoro professionale, o in ogni decisione un po’ importante, e di fronte a qualsiasi iniziativa.
Un giorno gli è capitato, senza sapere perché, d’essere colto da un penoso attacco d’angoscia, e da allora non gli riesce più, senza esercitare un violento sforzo su se stesso, di attraversar la strada da solo o di viaggiare in ferrovia, finché, per esempio, ha dovuto rinunciare a entrambe le cose. Oppure gli accade un fatto strano: i suoi pensieri vanno per conto loro e non si lasciano guidare dalla sua volontà; perseguono problemi che gli sono del tutto indifferenti, ma dai quali egli non si sa staccare.
Gli si impongono pure compiti ridicoli, come quello di contare il numero delle finestre sulle facciate delle case; e in occasione di atti fra i più semplici, come quello di impostare una lettera, o di spegnere il rubinetto del gas, gli capita subito dopo d’esser colto dal dubbio di aver effettivamente eseguita l’operazione».
L’attualità di Sigmund Freud
Quanto è attuale, questo ‘vetusto’ padre della psicoanalisi, non è vero? Eppure sono in tanti a criticarlo o ad averlo criticato perché ‘demodé’, sorpassato, come se in ambito di salute potessero prevalere le mode alla pari dell’abbigliamento o degli addobbi pasquali.
Avete individuato qualche amico, conoscente, parente, nelle descrizioni che vi abbiamo fornito poco sopra? Quelli elencati da Freud sono i ‘sintomi’, cioè quegli elementi esterni alla persona, più comportamentali, che mostrano un disagio psicologico degno di questo nome.
Secondo la teoria psicoanalitica, per comprendere quali siano le origini di questi ‘segnali’ e giungere ad una dissoluzione di questo malessere psichico è indispensabile lavorare nel profondo dell’individuo – e non sulla mera sintomatologia -: ciò significa che sotto ai sintomi si nascondono degli intensi conflitti dei quali non siamo consapevoli (o non lo siamo del tutto) che, per non rovinare la persona in toto, hanno trovato una via d’uscita per esprimersi, cioè attraverso il sintomo.
I sintomi come ‘formazione di compromesso’
La sintomatologia, come insegna Freud, è una ‘formazione di compromesso’, una specie di negoziazione tra una parte della nostra personalità che vorrebbe soddisfare un desiderio antico e proibito e un’altra parte che invece fa di tutto per censurarlo (perché ritenuto immorale, indegno, imbarazzante, ingiusto).
Quando certi pensieri o certe azioni diventano una sorta di ‘costrizione’ per noi e intralciano la nostra vita lavorativa, affettiva, sociale, dobbiamo iniziare a preoccuparci e a pensare di prendere provvedimenti.
Proseguiamo nella lettura di Freud, brillante penna della psiche e perfetto precettore: «La situazione diviene insopportabile se improvvisamente egli non riesce a sottrarsi al pensiero di aver spinto un bambino sotto le ruote di un veicolo o di aver gettato uno sconosciuto nell’acqua dall’alto di un ponte, […] Oppure ancora la nostra paziente […] è una pianista ma le sue dita sono soggette a crampi e si rifiutano di servirle.
Se si propone di andare in società, è subito colta da un bisogno naturale, la cui soddisfazione è incompatibile col trovarsi fra la gente. Perciò ha rinunciato a frequentare riunioni, balli, teatri, concerti eccetera. Nei momenti più inopportuni è presa da forti emicranie […] non sopporta le minime emozioni, mentre nella vita le emozioni sono inevitabili».
Il bisogno di un supporto psicoterapeutico
Quanto potremmo scrivere, parlare, commentare questi esempi e questi insegnamenti (‘le emozioni sono inevitabili’: sono molti i pazienti spesso tentano invano di controllare o peggio cancellare le loro emozioni o i loro sentimenti!).
Se quindi, alla fine, ammettiamo di aver bisogno di aiuto psicologico, è preferibile andare da chi abbia la laurea in medicina? Oppure è meglio consultare uno psicoterapeuta che non sia medico? Tante persone, atterrite dallo spauracchio della non-scientificità, ritengono essenziale che il terapeuta sia un medico: Sigmund Freud, al contrario, non è d’accordo e a suo parere è decisamente preferibile la terapia con un non medico, nonostante egli stesso fosse nato come neurologo.
Continuiamo la nostra lettura del saggio di Freud, pagina 397. Aprite bene gli occhi e preparatevi psicologicamente all’irriverente austriaco: «In primo luogo occorre tener presente che il medico nel corso dei suoi studi ha acquistato una preparazione che è circa l’opposto di quella di cui avrebbe bisogno l’analisi».
Medicina e psiche a confronto
Come è mai possibile che medicina e psiche siano così distanti, addirittura ai poli opposti? Prosegue Freud nel testo: l’attenzione del medico «è stata attratta sopra i fatti obiettivi dimostrabili, anatomici, fisici, chimici […] lo studio delle prestazioni psichiche superiori esula dalla medicina e appartiene a un’altra facoltà universitaria. Soltanto la psichiatria dovrebbe occuparsi dei disturbi delle funzioni psichiche, ma si sa bene in qual modo lo faccia: ricercando le condizioni fisiche dei disturbi psichici e trattandole alla stregua di ogni altro fattore eziologico».
Continua lo psicoanalista: «La preparazione scolastica del medico non serve a nulla per una valutazione e un trattamento della nevrosi, assolutamente a nulla […] l’insegnamento medico fornisce punti di vista falsi e dannosi […] I medici, nei quali non è stato risvegliato alcun interesse per gli elementi psichici della vita, sono indotti a disprezzarli e a riderne come di cose non scientifiche» (p. 398).
Parole forti
Signori, parole forti volano dalla penna del maestro! Sono argomenti scottanti che possono ancora oggi creare scalpore e chissà quante persone si saranno scontrate con queste forti ma assertive affermazioni.
Chi si dovrebbe occupare di salute mentale non deve essere medico … e nemmeno psichiatra. Ecco qui … da non crederci. Eppure lo asseriva uno che di psiche ne sapeva così tanto che su questa ha fondato una disciplina riconosciuta in tutto il globo.
Se i medici, specializzati in psichiatria, completano la loro mancante preparazione studiando anche psicoterapia, allora potrebbe andar bene, direi. Naturalmente, non devono occuparsi di psiche tutti quei “venditori ambulanti di speranze” di cui scrivo poco sopra (medium spirituali, stregoni, maghetti, guru metropolitani, counselor, pranoterapeuti e quant’altro).
Conclusioni
Non vorrei affollare di troppi pensieri la mente dei lettori, preferisco fermarmi qui, sperando che le parole di Sigmund Freud riescano a stimolare una feconda e fattiva riflessione, che possano suscitare curiosità nei confronti dello studio della psiche, l’altra parte di noi, quella più invisibile e affascinante, fuoco creativo dell’arte e della scienza, alla quale non possiamo né dobbiamo mai rinunciare.