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Le emozioni: un mondo impalpabile, a volte spaventoso … eppure così umano (secondo appuntamento)

Questo breve articolo è il secondo appuntamento di una serie di riflessioni dedicate alle emozioni. Se volete leggere il post precedente, cliccate QUI.

Come si manifestano le emozioni

Le emozioni vengono in linea di massima distinte e raggruppate in
emozioni somatiche: si tratta di quelle emozioni che hanno un saldo aggancio al corpo, come la paura o l’angoscia;
emozioni situazionali: onde emotive che dipendono da specifiche condizioni o situazioni, ad esempio il riso, la sorpresa, la gioia, la collera (ridere di fronte ad un film, arrabbiarsi ripensando ad un torto subìto, …);
emozioni sociali e relazionali: stati d’animo che si vengono a generare in relazione agli altri, quali, ad esempio, l’amore, l’altruismo, l’ostilità, l’odio.

foto da Pixabay

Focus: la paura

La paura, come ogni emozione degna di questo nome, dovendo garantire l’adattamento e la sopravvivenza della specie, è un meccanismo vitale essenziale per gli animali (incluso l’essere umano): essere impauriti, quindi, non rappresenta di per sé un problema, a meno che questa emozione non si presenti in modo eccessivo o incongruo.

Avere paura di fronte ad un pericolo concreto può salvarci la vita perché innesca meccanismi di fuga, di evitamento, di allarme, di richiesta d’aiuto: naturalmente si tratta di una dinamica che si è evoluta con il trascorrere delle ere, per cui l’uomo primitivo aveva paura di soccombere di fronte ai grandi predatori, l’uomo moderno, invece, teme di perdere relazioni importanti, il lavoro, la salute.

L’attacco e la fuga

Quando siamo spaventati, generalmente reagiamo in modi che rientrano in due macrocategorie, che sono l’attacco o la fuga, ma ci sono casi nei quali mettiamo in atto altri tipi di comportamenti, come il freezing (il congelamento, l’immobilizzazione, come accade negli animali che cercano di sparire dal campo visivo dei loro predatori) o il faint, cioè il fingersi morti (sempre dal mondo animale: quando un predatore è a caccia, cerca prede vive, evitando quelle apparentemente prive di vita).

Foto da Pixabay

Parametri vitali

Quando siamo spaventati, alcuni parametri vitali si modificano in maniera più o meno significativa: aumenta la frequenza del battito cardiaco che quindi amplifica l’irrorazione del sangue nei vasi, nei muscoli e negli organi vitali, aumenta la sudorazione, il fiato si fa corto, accelera la motilità intestinale, si innalza il livello del cortisolo (l’ormone dello stress), si verificano sensazioni di formicolio alle estremità, offuscamento della vista, senso di svenimento.

Nella psiche

A livello psicologico, invece, aumenta la focalizzazione su una o più specifiche questioni (il focus della nostra attenzione) e questo tende a togliere spazio ad altri tipi di riflessioni, viene a crearsi una spinta al pensiero pessimistico, ci si sente più fragili e più facilmente “prede” del mondo esterno, percepito come pericoloso (o più pericoloso di quanto non sia), si ha come l’impressione di vivere in una dimensione “irreale”, si fatica a mantenere la concentrazione (su altro!) e a mantenere il contatto con il reale.

Ansia e paura: la grande differenza

Ansia e paura non identificano la stessa emozione, pur somigliandosi molto. La paura si scatena di fronte ad un pericolo concreto, reale: la paura di non superare il colloquio di lavoro e quindi il timore di rimanere disoccupati (o inoccupati), ad esempio, rappresenta bene questo meccanismo emotivo.

L’ansia

L’ansia, invece, è scatenata da pensieri, riflessioni, valutazioni che facciamo su uno specifico fatto o evento che vorremmo si verificasse (il fatto di essere assunti, per esempio) e che temiamo non si verificherà: ci immaginiamo di poter in qualche modo controllare gli eventi, vorremmo annientare i fattori svantaggiosi che potrebbero farci fallire, e … spunta l’ansia, che spesso si autoalimenta e, a volte (non di rado) si trasforma in un vero e proprio sintomo ansioso conclamato.

Sia nell’ansia che nella paura si possono manifestare i sintomi somatici di cui sopra: battito accelerato, fiato corto, mente in stato di confusione, difficoltà di concentrazione, …

Foto da Pixabay

Focus: la rabbia

La rabbia, spesso definita collera, è un’emozione situazionale molto specifica, una reazione di emergenza, una mobilitazione improvvisa e temporanea di “armi”, cioè di risorse utili a resistere ad un momento di criticità allo scopo di garantirsi la sopravvivenza, potremmo definirla un’emozione primordiale.

Quanto premesso poco sopra rispetto alle altre emozioni, naturalmente, vale anche in questo caso: la rabbia, di per sé, non è un’emozione negativa ma può diventarlo in alcuni casi.

La rabbia nelle relazioni

Nelle relazioni, lasciar fuoriuscire questa emozione può essere pericoloso perché a seconda dell’intensità dell’attacco rabbioso, della soglia che conduce al “passaggio all’atto”, delle caratteristiche di personalità del soggetto che la prova (come il controllo degli impulsi) e di chi la subisce, dell’ambiente nella quale si verifica e molte altre condizioni, la collera da stato emotivo tutto interiore può diventare un comportamento più o meno gravemente distruttivo (pensiamo ad una lite tra coniugi che esita in omicidio).

Rabbia e frustrazione

Di solito la rabbia è generata da uno stato di frustrazione (una perdita grave, come un lutto o un licenziamento, ad esempio, ma a volte può essere innescata da molto meno) ed è collegata alla sensazione di perdere la propria libertà e i propri diritti.

Anche nel caso della rabbia, nell’organismo animale si verificano modifiche pari a quelle osservate nel caso della paura (battito accelerato, attivazione fisiologica, …): nelle persone, spesso, assistiamo a modifiche nell’espressione facciale (aggrottamento delle sopracciglia, arrossamento delle gote, …) e posturali. La rabbia solitamente si manifesta in modo temporaneo ma in casi gravi può avere una durata maggiore (episodi di distruzione di un luogo pubblico o privato).

Foto da Pixabay

Bibliografia

– Canestrari e Godino, Trattato di Psicologia, CLUEB, Bologna, 1997

Articolo della dott.ssa Giorgia Aloisio, psicologa e psicoterapeuta (Roma).

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