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Le emozioni: quinto appuntamento

La comunicazione nell’era digitale

Nell’era digitale tutto sembra più semplice, soprattutto la comunicazione.

Possiamo contattare quasi chiunque tramite i social network, prenotare una visita medica o un trattamento estetico a qualsiasi ora del giorno e della notte, effettuare acquisti, scrivere messaggi ai nostri cari e tutto il resto, che ben conosciamo.

immagine di TheDigitalArtist

Sono nate facoltà, corsi universitari, master che includono la parola “comunicazione” nelle loro diciture e gli istituti formativi sfornano a più non posso i cosiddetti “esperti di comunicazione”.

Una vita migliore

A volte ci sembra che tutto, nell’era digitale, sia migliore. Purtroppo, se ci pensiamo bene, non è esattamente così. La comunicazione, seppure facilitata, per alcuni versi, dalle nuove tecnologie, genera alcuni problemi alquanto allarmanti proprio di natura comunicativa.

Per esempio, il predominio del digitale tende a creare mondi virtuali isolati, nei quali abbiamo “amici” che chiamiamo tali ma che a volte non abbiamo mai incontrato. In soldoni, questa “indigestione” digitale ci rende meno competenti a livello sociale e questo non è certo un vantaggio.

In questi rapporti, la comunicazione è “monca” del confronto con l’altro, della reazione che l’altro genera in noi. Un’altra rilevante questione riguarda le emozioni tout court, tema a me caro, affrontato in vari articoli (per esempio, qui).

Le emozioni nell’era digitale

Nel mondo virtuale – nel quale trascorriamo un sempre crescente numero di ore – ci sentiamo più liberi di fare e di essere: possiamo apparire nella migliore delle fogge, fare acquisti che ci fanno sentire “speciali” (oppure omologati, fate voi!) e ci sembra anche di poterci esprimere al meglio dal punto di vista affettivo – emotivo.

Nel “monologo collettivo” del mondo digitale, come lo definisce Umberto Galimberti, privi di smartphone o tablet, sembriamo del tutto inabili a vivere.

Anche i nostri stati affettivi, ai quali non possiamo rinunciare in quanto esseri umani, hanno bisogno di “attraversare” in qualche forma attraverso il mondo del web, con risultati non sempre appaganti né del tutto adeguati.

Emoticon & co.

I social network costituiscono un mezzo di comunicazione estremamente diffuso: praticamente nessuno ne è immune. Ed è anche attraverso queste piattaforme che esprimiamo (o ci proviamo!) i nostri stati emotivi.

Ecco che Whatsapp si anima di status, quella funzione attraverso la quale possiamo condividere informazioni di vario tipo, incluse quelle di natura affettiva.

Prima ancora di questa modalità, da decenni, le emozioni sul web vengono demandate a emoticon, smiley, emoji che ci sembra possano supplire alla comunicazione reale con gli interlocutori virtuali.

illustrazione di pinwhalestock

Se ci fermiamo a riflettere, in realtà, queste icone, seppur veicolo di dati sugli stati d’animo e gli affetti, sono ben lontane dal poter davvero trasmettere un’emozione; le emoji costituiscono contenitori molto sbiaditi che costringono gli stati affettivi ad un riduzionismo, ad una omologazione che lasciano parecchio a desiderare …

Veicolare emozioni

Non sempre gli smiley risultano comprensibili a tutti e, per coglierne il senso, a volte abbiamo bisogno di cercare su internet ciò che intendono rappresentare … Altre volte, invece, è letteralmente impossibile raffigurare il nostro stato d’animo in questa modalità.

L’era dell’homo videns

Dal momento che abitiamo l’era dell’homo videns e tutto si basa sul senso della vista, quando questa non è sufficiente per comunicare le emozioni, tendiamo ad utilizzare i messaggi vocali, attraverso i quali, tramite la voce, ci è consentito un minimo di passaggio affettivo in più, tramite device.

Vista e udito, quindi, sono i sensi maggiormente sollecitati dalle nuove tecnologie, in questa nuova era tecnologica. Si tratta, però, di un tipo di comunicazione molto specifica, che non esisteva fino a qualche decennio fa, con la quale, sebbene abbia reso più rapido e agevole il passaggio delle informazioni, per alcuni aspetti ci ritroviamo svantaggiati.

Sto riferendomi al famoso “analfabetismo di ritorno“, a causa del quale oggi una parte della popolazione ha perso in parte la capacità di comunicare per iscritto. Un problema non da poco!

Il motivo per il quale i motori di ricerca ci invitano a scrivere testi brevi, sul web, costituiti da frasi brevi, molte immagini e ci suggerisce di spezzettare i testi (come accade anche in questo articolo!) è sempre collegato con il predominio della vista. La lettura implica che si attivi quel tipo di forma d’intelligenza detta “sequenziale” alla quale non siamo più abituati; una forma di intelligenza alla quale i più giovani – i cosiddetti “nativi digitali” – non sono per nulla o quasi avvezzi.

Oggi è preferibile, quindi, che i testi siano più oggetti visivi da guardare, piuttosto che successioni rigorose di codici grafici e di regole da decodificare. Tutto questo è realizzato per allinearsi all’intelligenza “simultanea”, tipica dei nostri giorni. Con tutto ciò che ne consegue…

immagine di voltamax

Quando i “vocali” non bastano…

Quando nemmeno i “vocali” sembrano più bastevoli per entrare in contatto emotivo con l’altro, optiamo per le videochiamate. Tramite video, possiamo sbizzarrirci con le espressioni facciali e sonore, mostrandoci troppo spesso incuranti di chi ci è accanto ed è costretto a sorbirsi questi show a tratti imbarazzanti.

Viviamo in un’era nella quale subiamo passivamente continui processi di de-realizzazione e de-socializzazione, in cui tempo e spazio vengono distorti, violentati, fino a sembrare scomparsi, dove, come già espresso poco sopra, non siamo più capaci di fare amicizia senza che uno schermo digitale funga da tramite.

Che fine hanno fatto le emozioni?

Le emozioni sono una parte fondamentale della natura animale, come anche di noi esseri umani e pensare che il mondo emotivo possa costruirsi a partire dal mondo digitale è pura follia.

Perché sentimenti e affetti abbiano la possibilità di formarsi, dentro di noi, è indispensabile che ci sia l’incontro “reale” con l’altro: l’altro comprensivo del suo odore, della sua forma, dell’ombra che proietta (fisica e psichica), della possibilità di comunicare a livello tattile. Non dobbiamo mai pensare che le relazioni virtuali possano sostituire il modo perfetto quelle reali, perché uno scarto c’è, tra realtà e virtualità, e in questo scarto si perdono moltissime informazioni preziose.

Cerchiamo, quindi, laddove è possibile, di incoraggiare le relazioni in presenza, nostre, dei nostri figli, dei colleghi: la digitalizzazione può far comodo, in alcune situazioni, può essere indispensabile in altre, ma è sempre preferibile incontrare l’altro, farlo davvero, nello spazio fisico e psicologico.

foto di Alexas_Fotos

Articolo della dott.ssa Giorgia Aloisio, psicologa e psicoterapeuta (Roma).

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Bibliografia consigliata

Galimberti U., Il libro delle emozioni, Feltrinelli

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