Dismorfofobia: un problema dei nostri giorni
Ho deciso di dedicare questo breve articolo al tema della dismorfofobia perché ritengo che nel nostro vivere contemporaneo, la società, imbevuta di narcisismo, spesso tenda a farci sottovalutare questo genere di problema, sempre più frequente.
Un rapporto problematico o, peggio, patologico con la propria corporeità, deve essere individuato tempestivamente, specie tra i giovanissimi e, laddove sia possibile, deve essere trattato nel modo migliore, “cucendo” sull’individuo un intervento mirato e puntuale.
Sul tema del narcisismo, argomento affine all’argomento di questo articolo, ho scritto alcuni articoli, il primo potete trovarlo qui.
Dismorfofobia: definizione
La dismorfofobia (o disturbo da dismorfismo corporeo) è una eccessiva preoccupazione per il proprio aspetto fisico.
Uno specifico aspetto fisico viene percepito dall’individuo come sgradevole o molto disturbante: a volte si tratta di piccoli difetti – quasi impercettibili – in altri casi la “bruttura” risulta piuttosto una percezione soggettiva del paziente che non un dato di realtà riscontrato anche da altre persone.
Il cosiddetto “difetto” fisico (che può essere, a volte, semplicemente una caratteristica peculiare del soggetto e non un difetto tout court) causa intenso disagio a chi ne soffre, portando l’individuo a esperire vissuti di vergogna, fastidio e a limitare la propria vita sociale e lavorativa (o scolastica, se si tratta di giovanissimi).
Dismorfofobia: andamento
Questo disagio nel rapporto con se stessi ha un andamento cronico e non si affievolisce spontaneamente: neppure l’intervento della medicina estetica o della chirurgia estetica sembrano dare sollievo alle persone che ne soffrono.
L’illusione sta nel convincimento che, cambiando qualcosa “al di fuori”, si possa ottenere un beneficio in termini di umore, serenità e un miglioramento nel rapporto che si ha con se stessi.
Di solito, però, il sollievo è solo apparente e di breve durata: ha vita quanto il battito d’ali di una farfalla.
Dopo di che, l’individuo si ritrova ad essere insoddisfatto, magari su altri fronti e tende a percepire un senso di incompletezza che può nuovamente sfociare in un tentativo di modifica “formale” piuttosto che “sostanziale” del proprio Sé.
Nonostante le rassicurazioni che spesso queste persone ricevono da chi sta loro accanto o magari persino da specialisti del campo, il rifiuto di alcune parti del proprio corpo non tende a diminuire e continua a far “dannare” chi lo riscontra e lo vive sulla propria pelle.
Un rimuginare costante e devastante
Di solito, chi soffre di questo problema, vive la questione del “difetto fisico” come centrale nella propria esistenza: ci pensa ogni giorno, per gran parte della giornata, magari immaginando possibili vie d’uscita o panacee varie.
Tutto questo rimuginare distrae l’individuo dal momento presente e lo rende assorto e assorbito in se stesso, come se quasi non esistesse altro a cui pensare e su cui poter riflettere. Risulta difficile, in questi casi, potersi dedicare pienamente a riflettere su altro.
L’età di esordio è tra i 15 e i 20 anni, fase delicatissima, di grandi cambiamenti, in cui ogni individuo deve confrontarsi con le trasformazioni fisiche e psicologiche alle quali solitamente si va incontro, quando si attraversa questa fase di vita.
Distretti corporei
Le parti del corpo maggiormente colpite da questo tipo di disagio sono il naso, le labbra, i capelli, gli occhi, la pelle, i denti (per un approfondimento: leggere questo articolo). In ogni caso, qualsiasi parte del soma può esserne investita.
Comorbilità
La dismorfofobia si trova spesso associata ad alcuni disturbi della sfera psichica, principalmente i disturbi depressivi (soprattutto il disturbo depressivo maggiore), la vigoressia (di cui ho scritto un breve articolo, che trovate qui), il disturbo narcisistico di personalità o alcuni tratti tipici della personalità narcisistica, i disturbi d’ansia.
Se la percezione va al di là della realtà e si caratterizza per bizzarria, ci troviamo invece di fronte ad una netta separazione dal concreto: siamo di fronte ad un disturbo delirante o un delirio che fa comunque riferimento ad un quadro psicopatologico molto grave (psicosi).
La società attuale
La società di oggi, intrisa di narcisismo fino all’osso, impone un confronto martellante con i temi del potere, del successo, della ricchezza, della bellezza e prestanza fisica: non solo promuove questo genere di ideali, ma ne diffonde un apparente aspetto di “normalità”.
Se pure non soddisfano tutti i criteri che permettono di diagnosticare in modo puntuale questo specifico disagio psicologico, molto spesso le persone mostrano di avere una visione eccessivamente critica nei riguardi del proprio aspetto fisico e anche questo può essere un dato allarmante perché segnale di un conflitto interiore molto intenso e assai invalidante.
La cosiddetta “normalità”
Sembra “normale” essere belli e, se ciò non fosse, sembra “normale” dover ad ogni costo raggiungere quel prototipo di “bellezza” – che poi è un concetto assai soggettivo … Investimento di denaro, fantasie poco realistiche di raggiungere un’agognata e duratura felicità, questi travestimenti e imbellettamenti non fanno che rimarcare quanto il soggetto sia a disagio con se stesso.
Chi non si piace si deve “cambiare”. E sembra quasi avere diritto ad una sorta di immaginario risarcimento.
In molti casi il ricorso alla chirurgia estetica non necessaria viene visto come un “volersi bene” o, peggio, un voler migliorare la propria autostima: come se l’amore di sé avesse a che fare con la mera apparenza e non con l’essenza di ciò che siamo.
Breve nota personale
Più di vent’anni fa mi diagnosticarono una deviazione del setto nasale con ipertrofia dei turbinati: l’intervento di settoplastica era il consiglio unanime degli specialisti. Feci la visita con il chirurgo che mi avrebbe operata, il quale colse l’occasione per invitarmi a modificare l’aspetto del mio naso: eliminare la gobba, stringere le narici.
In effetti, fino a quel momento, il mio naso non mi era mai granché piaciuto e pensai che avrei potuto inserire anche quell’intervento “estetico”, anche perché sarebbe stato coperto dall’assicurazione.
A poco più di vent’anni ero già in psicoterapia e parlai alla mia ex terapeuta del mio intento: rifarmi il naso. Bastarono poche parole della dottoressa, che mi invitarono a riflettere sulla decisione, e io scelsi di tenere il naso che avevo – e che tuttora ho: alla fine non lo trovavo più sgradevole, anzi. Pensavo che con quella piccola gobbetta avesse più personalità di tanti nasi anonimi.
Un naso “diverso”, pensai con l’aiuto della mia terapeuta, può cambiare gli equilibri di un volto, può trasformarlo anche molto: e se una volta cambiato non mi fosse piaciuto?
Oggi penso di aver scampato un “pericolo”: il pericolo di non essere più me stessa e di piacermi meno, il pericolo di guardarmi allo specchio e pensare sempre a quel naso che non era mio.
Quando avvisai il chirurgo che mi sarei tenuta il naso con il quale ero nata e al quale ero abituata, però, lui ci rimase male. Aveva fatto i conti senza l’oste.
Uno sguardo flesso verso il nostro interno
Io consiglio, prima di ricorrere e rincorrere una modifica “fuori di noi”, di provare a consultare uno specialista della salute mentale (psicologo psicoterapeuta, psichiatra), per capire insieme se ciò che non apprezziamo di noi sia veramente qualcosa di cui sbarazzarci o se, invece, non possa diventare un nostro punto di forza, un tratto che ci distingue dalla massa, un elemento di originalità che solo noi possediamo (o che condividiamo con alcuni familiari).
Siamo tutti “diversi”, anche i gemelli omozigoti, a ben vedere, si distinguono, e la diversità è qualcosa che ci unisce gli uni agli altri: perché dovremmo sembrare tutti copie di un medesimo stampino?
Cerchiamo di trovare il coraggio di mostrarci per ciò che siamo, per le idee che esprimiamo e per le ferite che, inevitabilmente, portiamo con noi: accettarci per ciò che siamo e volerci bene così come siamo costituiscono la chiave per accedere all’accettazione e, quindi, ad una maggiore serenità con noi stessi e con gli altri.
Articolo della dott.ssa Giorgia Aloisio, psicologa e psicoterapeuta (Roma).
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