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Il coronavirus (covid19) e le nostre reazioni psicologiche all’attuale pandemia

Dedico questo articolo al focolaio internazionale da nuovo coronavirus (SARS CoV-2) che ha costretto tutti noi a cambiare, quanto meno temporaneamente, le nostre abitudini e, più in generale, le nostre esistenze.

Ci troviamo inermi di fronte ad un virus ancora quasi del tutto sconosciuto, pericoloso e molto facilmente trasmissibile: tanto piccolo da non essere visibile ad occhio nudo ma molto pernicioso, nella maggioranza dei casi, per coloro che si trovano avanti con l’età e/o in situazioni cliniche croniche, quali diabete, patologie cardiovascolari, condizioni oncologiche.

Gestire l’emergenza del corpo e della psiche

Non è semplice gestire l’emergenza causata da questo virus così aggressivo, e siamo passati, come sottolinea l’ultima newsletter dell’Ordine Professionale degli Psicologi del Lazio, a percepirla, “prima come poco più di una influenza, ora, come la peste”.

Come è naturale che accada in questi frangenti, la priorità è assegnata al corpo, alla salute fisica, alla medicina e alle sue branche, ma non possiamo dimenticare che nel concetto di salute così come formulato dall’OMS, è incluso uno stato di benessere anche psichico, oltre che fisico. Il focus va al corpo ma, parafrasando il titolo del celeberrimo saggio del neuroscienziato A. Damasio, dobbiamo stare attenti a non replicare l’ “errore di Cartesio”, pensando che corpo e mente siano separati e privi di corrispondenze tra loro. Tenere le distanze di sicurezza interpersonale è giusto, lavarsi le mani correttamente quando si torna a casa va bene, quando però la “sana” cura di queste regole sconfina nell’eccesso, quando dalla paura si passa all’angoscia generalizzata, al terrore di essere contagiati da un passante, è bene preoccuparci anche della nostra salute mentale e mettere in atto strategie per porvi rimedio.

Cosa ci fa stare male

Non fa bene vedere l’altro come un probabile o certo portatore di virus letale, né fa bene sanificare in modo forsennato ambienti sicuri e non contaminati dall’esterno, non fa bene osservare con orrore un individuo di origini asiatiche che ci passa accanto né fa bene immaginare il nostro futuro come “la fine del mondo”.

In questi casi, la paura si trasforma in angoscia, che può declinarsi in vari modi: contagio emotivo, fobia sociale, agorafobia, attacco di panico, evitamento, ipocondria, stigmatizzazione, aggressività, manie di controllo disfunzionali, deliri paranoidei e di contaminazione, negazione della realtà.

Una condizione di pregressa fragilità psichica rischia di portare a dolorosi scompensi durante fasi critiche come quella che stiamo attraversando, ed è quindi sano occuparci ora di questa nostra eventuale reazione disfunzionale e chiedere aiuto a chi ha competenza, senza pregiudizi.

Quali conseguenze sulla psiche

Il virus attuale, questa “Hiroshima sociale” come è stata giustamente definita da una mia paziente, ci obbliga a confrontarci con la solitudine e, quindi, con noi stessi: i ritmi serrati della vita di tutti noi ci “distraggono” quotidianamente da certe riflessioni che, invece, in questo momento, vengono allo scoperto e sconvolgono le nostre giornate … come la nostra finitudine, la limitatezza che ci rende umani e speciali allo stesso tempo, e che cozzano con l’attuale senso di onnipotenza che troppo spesso pervade la società ipermoderna.

Il pensiero dei limiti e della “fine” ha da sempre accompagnato l’uomo e la domanda sul dove andremo a finire, post-mortem, è il leit motiv della nostra dimensione: questo interrogarci  non deve diventare angoscia di morte che invece lacera mente ed emozioni e non deve pervadere le nostre giornate.

Lo stop che ci viene oggi imposto fa tornare su, come una rete, il pescato del giorno, che non sempre ci soddisfa, ma con il quale è preziosissimo confrontarci: le scelte che abbiamo fatto, le direzioni intraprese, le occasioni perse, i desideri che ci animano.

Questa solitudine forzata ci porta anche ad interrogarci sull’esistenza (o meno) della nostra rete sociale, sulla qualità che caratterizza i legami interpersonali che abbiamo creato, sulla forza e sul valore di questi legami, in modo che tale reticolo possa essere riconsiderato, migliorato, cambiato, rafforzato.

La pandemia ci costringe a rallentare i ritmi asfissianti con i quali conduciamo la nostra vita e ad essere pazienti, a lasciare che sia “altro” a decidere un pezzo della nostra esistenza; ci chiede di essere elastici e flessibili, di mettere in stand-by per qualche tempo le nostre abitudini, le preferenze, a non poter gustare specifici cibi perché difficili da reperire, a fare a meno di certi appigli e galleggianti che sono parte integrante della nostra routine quotidiana, a sperimentare nuove modalità di lavorare e di essere (smart-working, videochiamate, …).

Nonostante il nostro desiderio di “agire” e “fare”, pur continuando a fare acquisti online e a comprare mascherine a profusione, siamo costretti all’inattività, perché non possiamo risolvere “da soli e subito” il problema attuale, siamo obbligati ad attendere e non ci siamo più abituati.

Ci sono persone che per resistere si abbandonano alla ricerca ossessiva e ossessionante di informazioni il più possibile dettagliate e magari anche catastrofiche, o si affidano all’incontrollata ondata di notizie spesso non del tutto attendibili, addirittura ascientifiche se non addirittura false che circolano attraverso i mass media (il problema dell’infodemia) e se ne nutrono a pieni polmoni; in questi frangenti le emozioni annebbiano la nostra percezione del pericolo e rischiano di non farci percepire i fatti “oggettivi” e le buone notizie che, immancabilmente, ci sono sempre, anche in questi periodi.

Cercare di combattere l’emergenza del momento con armi improprie non è salutare e ci fa fare “una fatica doppia” che in realtà potremmo risparmiare a noi stessi.

I momenti difficili possono trasformarsi in un’utile palestra

È nei momenti più critici che, solitamente, impariamo le lezioni più importanti e questo periodo può rivelarsi molto proficuo in questo senso: quella che viviamo è una prova di resistenza e di resilienza nella quale possiamo testarci e verificare la “tenuta” del nostro armamentario psichico.

Se però ci rendiamo conto che stiamo crollando – perché abbiamo un umore marcatamente nero, perché l’ansia non ci permette di pensare o di dormire, perché facciamo “pensieri brutti” – possiamo sempre chiedere il supporto degli Psicologi, che … esistono anche per questo (ma non solo)!

Sul portale dell’Ordine degli Psicologi del Lazio è disponibile un elenco di professionisti disponibili per consulenza e psicoterapia online: è possibile sceglierli in base alla zona nella quale abitiamo o lavoriamo in modo che, con la conclusione dell’attuale “quarantena”, si possa poi proseguire di persona il lavoro iniziato online. Ecco il link:

https://www.ordinepsicologilazio.it/albo/?search%5bsmart%5d=1

Foto: fonte Pixabay.

Articolo della dott.ssa Giorgia Aloisio, psicologa e psicoterapeuta (Roma).

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