Recensione al saggio ‘Metà prigioniero, metà alato. La dissociazione corpo-mente in psicoanalisi’

 

Era sempre più intenta ad ascoltare ciò che le sussurrava il suo corpo;

le sue membra annusavano l’aria, desiderose, la sua testa era un cielo solcato da fuochi d’artificio.
Perfino il linguaggio con cui documentava gli incontri coi pazienti rivelava il più profondo lavorio della sua psiche.

David Grossman, Il sorriso dell’agnello

In un periodo storico nel quale le trasformazioni del corpo sono all’ordine del giorno (tra body-art e chirurgia estetica più o meno estrema), nel quale ci troviamo a riscontrare un elevato numero di patologie borderline o ‘falso Sé’ [1], ritengo indispensabile che lo specialista della salute mentale assuma uno sguardo attento anche al livello concreto, oltre a quello simbolico che è tradizionalmente oggetto della teoria e della pratica clinica, psicoanalitica in particolare.

Dare rilievo al piano somatico, durante un trattamento, nulla toglie all’analisi psicologica che mettiamo in atto noi curanti: al contrario, come intende evidenziare Riccardo Lombardi in questo saggio, il corpo del paziente insieme allo stesso corpo dell’analista rappresentano fonti di straordinario arricchimento e fertili possibilità terapeutiche un tempo nemmeno prese in considerazione. L’autore invita analisti e terapeuti a non escludere la realtà somatica dallo scenario clinico anche perché, per utilizzare le parole dello stesso Lombardi, tra le funzioni della psicoanalisi vi è quella di «attivare nuove forme di comunicazione tra corpo e mente» [2]. Inoltre, usare il bagaglio teorico in modo rigido e privo di riferimenti alla corporeità rischia di trasformare lo sguardo del curante in un dannoso preconcetto.

Oltre che affascinante e ricco di esempi tratti dalla pratica clinica, questo testo si configura in qualche modo ‘fastidioso’ per il lettore (come suggerito già nella prefazione scritta da Antonino Ferro) perché scomoda l’analista dalla sua ieratica intoccabilità e lo sottopone ad una sorta di ‘dissacrazione’, evidenziando anche il suo coinvolgimento fisico necessario, come già preannunciato, per entrare in sintonia con il paziente. La sensazione di ‘scomodità’ aumenta quando Lombardi pone attenzione al meccanismo del ‘transfert sul corpo’, del quale tratteremo poco più avanti.


Quello tra soma e psiche è un rapporto lacerante, tormentato, come l’autore sottolinea fin dall’esergo di questo testo, attraverso le parole di Paul Klee: la condizione umana è proprio questa, a metà tra la libertà più sfrenata (la psiche, parte ‘alata’, dotata della capacità di ‘volare’ al di là dei limiti corporei) e la prigionia (il confine al quale il soma ci costringe). Un tumultuoso confronto tra polarità connaturate alla condizione umana che, ovviamente, non potranno mai pacificarsi, una sfida perennemente drammatica e dolorosa che, in condizioni di equilibrio, ci permette di sperimentare il piacere della comunicazione tra mondi confinanti e diversi, «l’asse verticale di relazione interna corpo-mente» [3].

Questa contrapposizione tra poli, comunque, non deve necessariamente risolversi in un conflitto: mente e corpo possono sfidarsi, combattersi, producendo ricchi frutti di cui l’individuo può cibarsi e attraverso i quali crescere. Se è vero, come sostiene Armando B. Ferrari [4], che durante l’evoluzione psichica normale è il corpo, tramite la propria eclissi, a dare l’avvio al funzionamento mentale, ciò non implica in alcun modo una rottura tra piano corporeo e mentale; soma e psiche dovrebbero continuare ad interagire in modo armonico, arricchendosi reciprocamente.

 

Paul Klee, Senecio (1922)

Quando, invece, la rottura avviene, ci troviamo nel campo della psicopatologia: in queste situazioni, il conflitto mente-corpo si trasforma in quel meccanismo che tecnicamente definiamo ‘dissociazione’, una forma di «estrema divaricazione» [5], di indipendenza ‘contraffatta’ nella quale i due poli non comunicano tra loro (ed è molto probabile che, in queste condizioni, soma e psiche non abbiano mai autenticamente comunicato tra loro): in tal modo, la mente prende le distanze dal corpo, con tutte le conseguenze che questa separazione inevitabilmente comporta. Il dialogo tra piano fisico e psichico si trasforma in un luogo di non senso, di fraintendimento o di completa non comunicazione [6] e uno dei poli tende ad avere il sopravvento sull’altro, cercando di annullarlo.

Compito dell’analista, secondo le indicazioni dell’autore, è appunto ricucire la trama di questo rapporto e farlo insieme al paziente e alle rispettive corporeità.

L’artista Marina Abramović durante una sua performance

Lombardi, grazie alla riflessione arricchita dagli apporti di Freud, Matte Blanco, Bion, Winnicott, Ferrari e alla propria esperienza psicoanalitica, ci aiuta a comprendere cosa accade quando il meccanismo dissociativo prende forma, spaccando in due l’individuo. Questo fenomeno è esemplificato già nel primo caso clinico che l’autore ci presenta, nel quale il paziente (Antonio) proietta sul piede dell’analista un proprio vissuto personale di natura angosciosa che, non potendo vivere né dentro di sé né sul proprio corpo, trasferisce inconsciamente sulla fisicità più ‘sicura’ e accogliente del terapeuta.

Le origini del disagio connesso alla dissociazione corpo-mente sono molto antiche; grazie al pensiero di Freud e alle ricerche degli autori post-freudiani (Bion, Spitz, tra i più rilevanti in questo ambito clinico), sappiamo che una relazione di accudimento gravemente disturbata nei primi anni di vita tende a compromettere il fragile equilibrio in fieri tra sfera corporea e fisica del bambino, producendo distorsioni e deformazioni evolutive che, nella vita adulta, possono comportare la separazione più o meno netta tra questi due mondi. In queste situazioni così precocemente compromesse, l’individuo funziona secondo un modello psichico poco evoluto, proprio perché bloccato a fasi precoci dello sviluppo psichico, ed è per questo motivo che il corpo assume un valore estremamente importante: dal momento che il livello simbolico, in questi gravi casi, non è mai stato raggiunto, il corpo funge da vettore del disagio psicologico.

Per tornare alla ‘scomodità’ e al ‘fastidio’ che il saggio di Lombardi produce – in senso ironico, naturalmente! – proviamo ad avvicinare l’originale concetto di ‘transfert sul corpo del paziente’, di cui tratta l’autore [7]. In psicoanalisi, l’analista è tradizionalmente tenuto ad interpretare il transfert del paziente nei termini di proiezione di vissuti propri sulla persona dell’analista: secondo Lombardi, però, spesso, oltre a questo tipo di transfert, ne esiste anche un altro, ovvero appunto il ‘transfert corporeo’, cioè il trasferimento da parte del paziente di suoi vissuti sul proprio stesso corpo.

Questo tipo di transfert che il paziente compie su se stesso esclude in parte il ruolo dell’analista: si tratta, quindi, di un meccanismo che attribuisce maggior enfasi alla relazione che il paziente stringe con se stesso, ai meccanismi di autosservazione e coscienza, a discapito della funzione del terapeuta, che risulta, come già preannunciato, decentralizzato e desacralizzato, parzialmente messo in ombra sulla scena terapeutica.

immagine da Pixabay

In ambito clinico, è proprio attraverso il ‘transfert sul corpo’ che è possibile lavorare: in queste condizioni, la comunicazione avviene attraverso il canale somatico e l’analista/psicoterapeuta ha il compito di ascoltare la fisicità del paziente, anche attraverso i segnali del proprio corpo (‘controtransfert somatico’) restituendo così al paziente una elaborazione dei suoi vissuti somatici in una forma accettabile e verbalizzabile, attraverso il processo di ‘rêverie’ [8].

Proprio secondo Bion [9], grazie all’analisi psicologica, il paziente affina il proprio «strumentario fisico-anatomico» [10] perché acuisce la capacità di padroneggiare una sorta di nuovo organo di senso: di conseguenza, è indispensabile che il curante sia allineato in questa direzione, affinché possa fungere da guida nell’ascolto delle radici somatiche della psiche umana.

Perché l’analista possa entrare in contatto con gli strati più arcaici della psiche dell’altro, è necessario che si sintonizzi su quei livelli somatici (pre-verbali e pre-simbolici) che governano il funzionamento mentale di alcune categorie di pazienti. In numerosi casi clinici è essenziale che il terapeuta lavori proprio sulle sensazioni fisiche del paziente, guidandolo nel processo di accettazione di tali sensazioni e nel «riconoscimento percettivo del proprio corpo» [11], corpo che, è bene ricordare, è «l’oggetto concreto da cui la psiche evolve e con cui essa si confronta» [12].

Lo psicoanalista austriaco René Spitz con un giovane paziente.

Le comunicazioni corporee che l’analista riceve dal paziente possono avvenire durante le sedute ma possono anche proseguire dopo che il colloquio è terminato: come riporta l’autore, in seguito ad alcuni incontri particolarmente turbolenti, ci si può sentire affaticati, spossati come dopo una lunga corsa, con tutti i correlati fisiologici del caso, quali battito cardiaco accelerato e respiro corto. Anche prima di ricevere un paziente, spesso, il corpo ci dà alcune importanti indicazioni sul nostro stato d’animo, sia che si tratti di una persona già nota, sia che ci si trovi ad un primo colloquio. È bene che il terapeuta lasci spazio a questi vissuti corporei: noi curanti sappiamo quanto la digestione emozionale sia più laboriosa rispetto alla comprensione mentale.

La riflessione sul soma che Riccardo Lombardi compie in questo testo si configura originale e innovativa rispetto al corpus teorico della psicoanalisi classica: il suo pensiero, però, a ben guardare, non esula mai dalla strada maestra della disciplina psicoanalitica, al contrario, prende avvio dai primissimi lavori del maestro Sigmund Freud [13].

Nello specifico, il riferimento dell’autore muove dai pionieristici studi che il padre della psicoanalisi ha compiuto proprio a partire dal corpo delle sue pazienti: quel corpo così sensibile ai movimenti della psiche, in grado di comunicare quell’impalpabile malessere tipico delle pazienti isteriche che tanto colpirono gli studiosi dell’epoca, un corpo che ancora oggi ci conduce alla riflessione perché capace di comunicare i numerosi e misteriosi aspetti dello straordinario caleidoscopio che è la psiche umana.

NOTE BIBLIOGRAFICHE

[1] Cfr. su ciò Winnicott D. W. (1954), L’intelletto ed il suo rapporto con lo psiche-soma, 1958 e Winnicott D. W. (1960) Le distorsioni dell’Io nei termini di vero e falso Sé, 1965.
[2] Lombardi R. (2016) Metà prigioniero, metà alato. La dissociazione corpo-mente in psicoanalisi, Bollati Boringhieri Torino, p. 59.
[3] Ivi, p. 89.
[4] Cfr. su ciò Ferrari A. B. (1992) L’eclissi del corpo. Una ipotesi psicoanalitica, Borla Roma.
[5] Lombardi R. (2016) op. cit., p. 25.
[6] Cfr. su ciò Tustin F. (1981) Stati autistici nei bambini, Armando, Roma e Meltzer D. (1982) Implicazioni psicosomatiche nel pensiero di Bion, «Quaderni di Psicoterapia Infantile», 7, pp. 199-222.
[7] Cfr. su ciò Lombardi R. (2005) On the Psychoanalytic Treatment of a Psychotic Breakdown, «The Psychoanalytic Quarterly», 74, pp. 1069-99 e Lombardi R. (2010) The Body Emerging from ‘Neverland’ of Nothingness, «The Psychoanalitic Quarterly», 79, pp. 879-909.
[8] Cfr. su ciò Bion W. R. (1962) Apprendere dall’esperienza, Armando, Roma 1972.
[9] Cfr. su ciò Bion W. R. (1979) Gemello Immaginario, in Id., Analisi degli schizofrenici e metodo psicoanalitico. Saggi e considerazioni, Armando, Roma 1979.
[10] Lombardi R. (2016) op. cit. p. 44.
[11] Ivi, p. 101.5
[12] Ivi, op. cit. p. 100.
[13] Cfr. su ciò Freud S. (1895) «Studi sull’isteria», in OSF, vol. I, Boringhieri, Torino 1983 e Freud S. (1905) «Tre saggi sulla teoria sessuale», in OSF, vol. IV, Boringhieri, Torino 1983.

Articolo della dott.ssa Giorgia Aloisio, psicologa e psicoterapeuta (Roma).

© Tutti i diritti riservati

Articoli simili