Le emozioni: terzo appuntamento
Articolo della dott.ssa Giorgia Aloisio, psicologa e psicoterapeuta (Roma).
Questo breve articolo è il terzo appuntamento di una serie di riflessioni dedicate alle emozioni. Se volete leggere il post precedente, cliccate QUI
Le emozioni rappresentano un mondo impalpabile, a volte spaventoso … eppure così umano (terzo appuntamento)
Le emozioni non devono essere giudicate: nonostante questo monito, vengono comunque distinte in emozioni “positive” (quelle che ci rendono felici e ci danno piacere) e “negative” (quelle che invece abbassano il tono dell’umore e ci fanno stare male).
Personalmente preferisco diversificarle con un’altra classificazione, suddividendole in emozioni piacevoli e spiacevoli, perché l’uso degli aggettivi positivo/negativo mi sembra che attribuisca loro un’accezione che non dovrebbero avere. Proviamo, quindi, ad esplorare una delle emozioni spiacevoli: la tristezza.
Come si manifesta la tristezza?
Anche la tristezza, come insegna la teoria darwiniana, è un’emozione fondamentale ai fini dell’adattamento e, quindi, dell’esistenza: pensate, per esempio, a quanto è rilevante comprendere se una persona alla quale ci stiamo avvicinando stia vivendo un momento di tristezza. Quando dobbiamo affrontare temi impegnativi ma rinviabili e percepiamo che l’individuo col quale vorremmo interagire è giù di tono, se siamo persone gentili ed empatiche, evitiamo di impegnarlo o cerchiamo di non affliggerlo ulteriormente, rinviando ad un altro momento la conversazione.
La tristezza si manifesta quando perdiamo qualcosa a noi caro e si può palesare in varie modalità: ad esempio, attraverso la mimica facciale caratteristica di questa emozione e una postura ricurva. Spesso, inoltre, chi è triste tende a commuoversi e può arrivare a piangere.
Sovente, quando la tristezza abita il nostro animo, evitiamo di intrattenerci con le altre persone e sentiamo la necessità di isolarci. Se abbiamo la tendenza a rimuginare (a ripensare insistentemente a qualcosa), è probabile che applichiamo questo meccanismo anche ai pensieri che ci rendono tristi, amplificandone la portata (e la durata).
Un’emozione che somiglia alla tristezza e, a ben vedere, fa parte dello stesso gruppo di emozioni è la nostalgia: etimologicamente questa parola deriva dal greco perché composta da “nostos” che significa ritorno e “algia” invece che vuol dire dolore.
L’emozione della nostalgia, infatti, identifica quella condizione emotiva nella quale sentiamo un profondo desiderio di “ritornare” a qualcosa che non è possibile rivivere – quanto meno in un dato momento – ad esempio tornare in un luogo a noi caro o rivedere persone lontane o che non ci sono più.
È fondamentale distinguere tristezza e nostalgia da uno stato psicopatologico molto noto, la depressione: in questo caso non abbiamo a che fare con un’emozione ma ci troviamo di fronte ad un vero e proprio disturbo psichico che affligge moltissime persone. Per comprendere le dimensioni di questo disagio, pensate che il numero di persone che ne soffre, al mondo, supera la popolazione statunitense (e molto probabilmente il numero in questione è sottostimato).
Tristezza e depressione: differenze
Come precisato poco sopra, la tristezza è un’emozione che può riguardare chiunque, e quando provata in situazioni congrue, è sana: la depressione, invece, è una patologia di natura psichica, molto diffusa, certamente, ma non vissuta da chiunque – per fortuna.
La tristezza dura periodi circoscritti (minuti, ore), la depressione, per poter essere diagnosticata a livello psicologico e psichiatrico, deve durare almeno sei mesi, ma può anche insidiarsi per anni nella psiche di un individuo. Quando siamo tristi è possibile avere meno desiderio di incontrare gli altri, meno voglia di divertirsi, di scherzare e di impegnarci in attività sessuali: negli stati depressivi, questi elementi sono più marcati, più duraturi e spesso sono accompagnati da scarsa capacità di trarre piacere dalle attività (anedonia), scarso appetito o, al contrario, compulsione a mangiare, insolito bisogno di dormire o frequenti stati di sonnolenza ma anche forme di insonnia.
Nella depressione, inoltre, lavorare diventa impossibile (soprattutto negli stati più gravi, cronicizzati), il futuro si tinge di nero e a volte il tono dell’umore basso si accompagna a stati ansiosi o vera e propria angoscia. Tutti i sintomi elencati poco sopra non sono presenti negli stati di tristezza o se lo sono, hanno vita molto più breve e sono più lievi (può capitare, ad esempio, che se ci si sente tristi non si abbia voglia di andare a lavoro o uscire di casa, ma per un tempo ridotto). La tristezza, comunque, è un’emozione presente negli stati depressivi.
Le emozioni: stati transitori
Le emozioni, come avrete compreso, sono transitorie, hanno un inizio e una fine e la tristezza rappresenta una delle sei emozioni fondamentali: le altre sono la felicità, la rabbia, la sorpresa, la paura e il disgusto. Non essendo una psicopatologia, la tristezza non va curata: la depressione, al contrario, qualora rilevata, deve essere sottoposta all’attenzione di figure sanitarie specializzate, cioè gli psicoterapeuti (psichiatri e psicologi).
È fondamentale potersi permettere di entrare in contatto con le proprie emozioni, anche quelle che, come la tristezza, ci rendono abbattuti e sconfortati: se in famiglia siamo stati inibiti nel nostro manifestare stati d’animo di questo genere, è possibile avere poca dimestichezza con questo tipo di emozioni e un lavoro con uno specialista psicologo potrebbe agevolarci nel fare amicizia con queste “parti” di noi stessi, a riconoscerle e, perché no, a mostrarle agli altri, se utile.
Provare tristezza non deve metterci in imbarazzo o farci provare vergogna: ricordiamo che noi esseri umani siamo naturalmente dotati di questi strumenti e che l’evoluzione della specie è stata agevolata anche da questi tumulti interiori, oltre che dalle capacità logico-razionali.
Buona vita
– Canestrari e Godino, Trattato di Psicologia, CLUEB, Bologna, 1997