L’uomo flessibile
Recensione al saggio L’uomo flessibile: le conseguenze del nuovo capitalismo sulla vita personale (Richard Sennett,1999)
Articolo della dott.ssa Giorgia Aloisio, psicologa e psicoterapeuta (Roma)
La flessibilità, oggi
Attualmente si parla molto di flessibilità, soprattutto in ambito lavorativo: orari flessibili, lavoro flessibile, flessibilità nel cambiare ruolo o addirittura professione. Anche il capitalismo odierno viene definito flessibile: potremmo pensare che questo tipo di capitalismo, proprio per la sua apparente ‘plasticità’, sia meno nocivo del classico capitalismo prefigurato dalla teoria marxiana e invece, come emerge dall’analisi di Sennett, lo è forse ancor di più perché opprime i lavoratori in modalità silenziosa e quasi invisibile.
Cosa fa per ‘deprimere’ i lavoratori, questo nuovo capitalismo? Ne blocca l’evoluzione delle carriere; non dimentichiamo che la parola ‘carriera’ rimanda, nella sua etimologia, alla ‘strada per carri’, alla possibilità cioè di seguire una data direzione con dedizione e continuità, ed è proprio questo percorso che oggi non è più realizzabile.
Disponibilità al cambiamento a tutti i costi
In un mondo che chiede ai suoi lavoratori di essere disponibili al cambiamento in ogni momento e ad ogni livello, costruire una professione è impossibile, non si possono accumulare esperienze né affinare competenze, ma non si possono nemmeno stringere rapporti interpersonali in quanto le relazioni lavorative sono spesso brevi se non brevissime o addirittura ‘a distanza’.
Viviamo in un’epoca, quella abbozzata da Sennett, nella quale la memoria ci supporta ma solo a breve termine: l’altroieri è già lontano, offuscato, dimenticato.
Il paradosso della flessibilità
La flessibilità che oggi il mercato ci chiede, conduce a risultati paradossali: diventiamo lavoratori più mobili ma incredibilmente rigidi, impoveriti, disidratati emotivamente, questo grazie anche al sistema lavorativo ‘a rete’ che permette di sopperire a certi ‘nodi’ con reti nuove o parallele.
La totale mancanza di routine e di consuetudine non permette a chi lavora di instaurare legami forti e significativi, e tutto questo ha delle importanti ripercussioni a livello affettivo e familiare.
Nella famiglia odierna
Nelle famiglie di oggi vige una quasi totale mancanza di regole: il padre, colui che dà le regole e che entra nella diade madre – bambino per stabilire un legame tra bambino e realtà, oggi è una figura sbiadita, incapace di fissare dei punti fermi nel percorso da farsi e questo produce individui disorientati che, a loro volta, entrano a far parte della società.
Narrazioni
Un argomento molto interessante trattato dall’autore è quello della narrazione: in questo mondo frammentato, spezzettato, privo di salde certezze, l’individuo non ha la possibilità di narrare a sé e agli altri la propria storia di vita in modo lineare e continuativo, di possedere un racconto coerente di sé e del proprio ruolo professionale.
In passato, eventi catastrofici come pestilenze o guerre interrompevano le narrazioni personali, ma si trattava di interruzioni che non disintegravano l’individuo, erano pause, rotture, fratture che in un momento successivo permettevano una ricostruzione (tranne per coloro i quali da questi eventi uscivano incrinati a livello più profondo, come nei casi di nevrosi di guerra tanto cari a Sigmund Freud). Oggi viviamo sulla pelle un disorientamento e una frammentazione intensi che però non hanno una causa così facilmente identificabile, nonostante il mondo sia appena uscito da una pandemia che ha sconvolto tutti a tutti i livelli.
Il saggio di Sennett è crudo, sconvolgente ma tristemente veritiero.