Intervista a Chiara Germani!

Con grande piacere, vi propongo una intervista che ho realizzato qualche tempo fa a Chiara Germani, artigiana orafa romana. Buona lettura!

Ciao Chiara, puoi spiegarci qual è il tuo lavoro?

Sono un’artigiana orafa, il mio lavoro consiste nel progettare e costruire gioielli artigianali, partendo da un disegno altrui o dalla mia ricerca personale. Dedico uno spazio del mio lavoro anche alla riparazione e alla modifica di oggetti di oreficeria, antichi o vecchi, artigianali o industriali, in ogni caso significativi per i clienti che intendono riutilizzarli.

Chiara Germani

Come potresti definire la Psicologia?

Penso che la Psicologia sia uno strumento. Incontrato per caso, cercato, evitato o sconosciuto.
Se incontrato per caso o cercato può risuonare come tacere. E nel caso in cui risuoni può emettere una sola nota, nello sciogliere una problematica particolare, oppure può armonizzarne più d’una, trasformandosi in un percorso.
Nel caso invece fosse uno strumento evitato, credo che la Psicologia si trasformi nel rispetto della diversità e nel sostegno che permette all’altro di esprimersi con un suono diverso.
Se è uno strumento sconosciuto è un peccato.

anello Caravan a spirale con perle

Quanto conta la psiche nel tuo lavoro e nei rapporti con i clienti?

Ho avuto la fortuna di scegliere il mio lavoro e il fatto di amarlo mi aiuta a non svolgerlo in maniera meccanica. La sfera della psiche ha quindi un ruolo importante, sia nella continua necessità di apprendimento, che nel rapporto con i clienti.

Il mio mestiere si basa sulla conoscenza di tecniche e queste, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, sono materia viva e mutevole, perché rappresentano una quantità indefinibile di esperienze stratificate nel tempo, soluzioni proposte a problemi di funzionalità o di semplice armonia. Per fare un esempio concreto, può accadere di scoprire, grazie a una riparazione, la variante di una chiusura. In quel momento ci si trova a confronto con la soluzione trovata da un altro artigiano, chissà dove, quando o perché, in una specie di rapporto a distanza in cui si stupisce, si studia e si fa proprio il lavoro altrui.

alcuni gioielli realizzati da Chiara

Il risultato di questo incontro, oltre al perfezionamento di un’abilità, è anche un appagante senso di continuità.
Ma è sicuramente nel rapporto con i clienti che la psiche ha più peso: per buona riuscita dell’oggetto, soddisfazione di entrambe le parti e per la conseguente possibilità di fidelizzazione, che mi consente stabilità di lavoro.

È importante capire l’idea da cui parte la richiesta di un gioiello fatto a mano, ma non solo. Accanto a questo aspetto cerco di comprendere e interpretare l’idea di bellezza in cui la richiesta si fonda.

La fase di progettazione è un confronto in cui il cliente esprime chi è, cosa gli piace e cosa vorrebbe, mentre io cerco di applicare a questi elementi quei mezzi del mestiere che mi sembrano più appropriati. Vengo quindi spesso a patti con il mio gusto personale, mai con la tecnica; ma cercando la strada giusta per chi ordina, a volte può succedere che si modifichi la mia idea del bello, un’idea non troppo astratta e, in alcuni casi, legata anche all’aspetto produttivo.

Certamente può accadere anche l’inverso, perché ci si studia e questo incontro richiede tempo. Per questa ragione i clienti di ritorno sono preziosi.

orecchini in argento, creati da Chiara
Ci sono differenze, secondo te, a livello di personalità, tra chi tende a comprare oggetti nuovi rispetto a chi, invece, è solito far riparare vecchi gioielli appartenuti a loro o ai loro cari? In caso positivo, potresti darne una breve descrizione? O anche raccontarci le tue fantasie in merito, cioè come tu immagini che possano essere queste persone …

Dal mio punto di vista non esistono differenze di personalità a questo livello, anche perché non è insolito che chi porti una riparazione acquisti poi anche un oggetto nuovo, o viceversa.

Mi trovo semplicemente a interagire con persone che vivono momenti diversi: c’è un tempo per riparare e un altro per comprare qualcosa di nuovo. A volte chi mi porta un oggetto da riparare è in cerca di rassicurazioni (“Vale la pena di rimettere a posto il mio anello? È prezioso? È bello?”).

È piuttosto frequente, inoltre, che chi chieda una riparazione parli di un furto subito, o di una relazione finita, anche se l’oggetto in se stesso non è legato a nessuna di queste vicende passate. Il momento dell’acquisto del nuovo è invece più proiettato altrove, nel chiedersi ad esempio se il gioiello che si sta per acquistare sarà appropriato a un’occasione particolare, se è il giusto ricordo di un viaggio, o se piacerà come regalo.

Mi sembra siano due aspetti che coesistono, varia la circostanza e la sensibilità legata al momento. Fantasie, sui clienti, cerco di non farne: resto nella conversazione, spesso già ricca di elementi che mi permettono di capire in che direzione muovermi.

Un altro gioiello di Chiara Germani (argento brunito con pietra Cabochon)

I feedback che ti arrivano dai clienti, come ad esempio complimenti, critiche, commenti di vario genere, li utilizzi? Tutti? Alcuni? Quali? Hai qualche esempio da raccontare?

Il mio lavoro non avrebbe senso, per come lo intendo, se non ascoltassi, ma è anche vero che non prendo in seria considerazione tutti i pareri. Ascolto quelli che mi sembrano aderenti all’oggetto o alla situazione.

Mi colpiscono i commenti e i gusti inaspettati, quelli che a volte riescono a sbloccare un terreno su cui ho dei dubbi. Per asciugare gli oggetti utilizzo della segatura di mais, che tengo in una scatola; in questa scatola spesso rimangono prototipi che non mi convincono, prove in attesa di decisione e gioielli che semplicemente si asciugano in attesa di consegna.

È capitato che quelle prove dimenticate diventassero dei modelli ‘da vetrina’ grazie all’interpretazione di alcuni clienti, un’interpretazione che alla fine convince e soddisfa anche me, ma senza la quale non mi sarei esposta. Apprezzo molto le critiche, soprattutto se espresse con grazia, che in alcuni casi mi muovono ad aggiustare la rotta concretamente, in altri rimangono un’indicazione di una direzione che riconosco giusta, ma che disattendo.

È quest’ultimo il caso della mia cronica assenza di marketing, inteso come “promozione del prodotto” su canali come ad esempio i social.

Chiara Germani in uno scatto di Charles Chessler
Ci sono indizi che ti permettono di capire con quale tipo di persona/cliente hai a che fare (per esempio quando lo senti parlare o prima ancora, come si muove davanti alle tue vetrine, come osserva i tuoi oggetti, le domande che ti pone)? Saresti in grado di farci la descrizione di qualche “tipologia”?

Direi che nel mio caso è una questione di ritmo. Quando qualcuno entra in laboratorio, entra con un suo tempo, che cerco di assecondare.

Ci sono persone che sanno cosa vogliono, senza bisogno o desiderio che gli si crei intorno un contesto: in questo caso lascio condurre loro il nostro scambio, che in modo più o meno veloce si conclude.

Ci sono poi persone che sanno cosa vogliono, ma cercano comunque un confronto, che può essere focalizzato solo sugli oggetti o anche sul lavoro di chi li ha costruiti: in questo caso il tempo si dilata un poco e, solitamente, si conduce a turno. Entrano, com’è normale che sia, anche persone che non sanno cosa vogliono. In questo caso sono io a scegliere il tempo che mi sembra più calzante e lo scelgo in base alla disponibilità di ascolto che percepisco. Perché non è scontato che chi non sappia cosa vuole voglia ascoltare.

Così, anche in questo caso, ci saranno tempi brevi o molto dilatati, concentrati sugli oggetti, oppure sulle fasi di lavorazione. C’è anche chi non sa perché è entrato. E in ognuno di questi casi c’è presenza o assenza d’eleganza, intesa come modo gentile d’interagire con l’altro.

anelli in argento ossidato, collezione Zenit

Articolo della dott.ssa Giorgia Aloisio, psicologa e psicoterapeuta (Roma).

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